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Ulteriori osservazioni sulla protezione dei contraenti con

 

gli institores ed i magistri navis nel diritto romano

 

dell'età commerciale (上 Part I )

 

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ALDO PETRUCCI - Università di Pisa

 

 

SOMMARIO: 1. Obiettivi e limiti della presente indagine. 2. Doveri di correttezza ed informazione a carico dell'imprenditore discendenti dalla preposizione institoria. 3. Institori che agiscono al di fuori della preposizione institoria, schiavi non preposti operanti in un'impresa ed affidamento dei terzi. 4. Morte del preponente ed affidamento dei terzi contraenti. 5. Contenuto e pubblicità della praepositio nell'impresa di navigazione e gli effetti nei confronti dei terzi contraenti con il magister navis . 6. Altri aspetti della tutela dei terzi contraenti connessi con la praepositio di un magister navis : la responsabilità dell'exercitor per le attività contrattuali del sostituto nominato dal magister e la possibilità, se libero, di convenire il magister stesso in giudizio.

 

1. Obiettivi e limiti della presente indagine

 

Da qualche anno ormai sto dedicando una certa attenzione al tema della tutela di quanti avessero contratto con gli imprenditori o con i loro rappresentanti nel diritto romano dell'età commerciale (II secolo a.C. – metà del III secolo d.C.) 1. Da un lato, pertanto, non intendo né ritornare su alcuni punti che considero oggi del tutto acquisiti, come l'esistenza in questo periodo storico di un fenomeno imprenditoriale e di una sua regolamentazione giuridica 2, né riproporre alcuni risultati, cui mi sembra essere pervenuto, quali: a) l'emersione di un apparato protettivo specifico per chi concludesse un contratto inerente alle attività oggetto dell'impresa; b) l'estensione della protezione a tutti i terzi contraenti, senza distinzioni e/o trattamenti di favore per particolari categorie; c) il ruolo fondamentale a tali fini della giurisdizione dei pretori e soprattutto dell' interpretatio dei giuristi.

Dall'altro lato, tra i molti aspetti ancora da analizzare, ne esiste qualcuno in ordine alla contrattazione posta in essere con gli institores ed i magistri navis , che merita una riflessione ed un approfondimento più ampi di quanto non abbia finora fatto. Ed è proprio questo il modesto obiettivo che mi propongo qui di raggiungere, in attesa di realizzare un futuro e più ambizioso progetto, grazie al quale vorrei offrire una ricostruzione generale e, nei limiti del possibile, organica di come l'ordinamento giuridico romano, nel corso della sua evoluzione storica, si sia posto di fronte alla realtà dei contratti “in serie”, aventi ad oggetto le attività esercitate da un'impresa, e quali specifici rimedi esso abbia elaborato, in tale ambito, in favore dei terzi contraenti. Sarebbe infatti mia intenzione edificare una base da cui procedere ad ulteriori indagini nelle esperienze giuridiche successive a quella romana, onde verificare quanto dei suoi fondamenti o radici si sia trasmesso, o sia comunque rimasto, e quanto invece sia stato abbandonato o trasformato 3.

 

2 . Doveri di correttezza ed informazione a carico dell'imprenditore discendenti dalla preposizione institoria

 

L' actio institoria , introdotta dal pretore nel corso del II secolo a.C., consentiva, come tutti sanno, ai terzi che avessero contratto con l'institore nell'ambito della praepositio di far valere una responsabilità in solidum del preponente per le obbligazioni rimaste inadempiute 4. Il suo campo di applicazione si era esteso, durante il I secolo a.C. e l'età augustea, dall'originaria sfera dell'impresa commerciale in senso stretto a tutti i tipi di impresa eccettuata quella di navigazione, come emerge sia da Gai 4. 71 che da Ulpiano, 28 ad ed. in D. 14. 3. 5pr., nei quali si considera institor il preposto cuilibet negotiationi (o negotium ) 5.

E' altrettanto noto che la possibilità di esercitare questa azione era condizionata dalla praepositio : infatti solo se i terzi avessero acquisito dei diritti concludendo un contratto con l'institore entro i limiti di essa, l'imprenditore poteva essere chiamato a rispondere, quando questi diritti non fossero stati soddisfatti. La preposizione institoria era pertanto configurabile come un atto di conferimento dei poteri di gestione di natura astratta, con cui si autorizzava il compimento di tutta l'attività contrattuale inerente all'esercizio dell'impresa, che non rilevava nella sola sfera interna dei rapporti tra imprenditore preponente ed institore, ma richiedeva forme di pubblicità, in modo che i suoi contenuti fossero conoscibili all'esterno ed i terzi avessero la possibilità di esserne informati 6. Le esigenze di pubblicità venivano realizzate mediante un'affissione per iscritto, indicata dalle fonti, che vedremo fra breve, con il termine proscriptio 7.

Si discute se il testo edittale dell' actio institoria contenesse espliciti riferimenti a tale affissione: la dottrina dominante è per la negativa, essendosi il pretore limitato alla previsione eius rei gratia cui praepositus fuerit, in eum, qui eum praeposuerit … 8. Non mancano tuttavia, anche ultimamente, studiosi 9 che riconducono all'editto le parole de quo palam proscriptum fuerit, ne cum eo contrahatur di D. 14.3.11.2, sul quale ci soffermeremo fra poco. E' opinione pacifica invece che tutte le articolate disposizioni, tramandateci nello stesso § 2 e nei §§ 3 – 5 di tale frammento in ordine al contenuto della preposizione institoria ed ai modi di compierne la proscriptio , provengano esclusivamente dall'elaborazione giurisprudenziale in sede di commento di tale editto 10.

Quanto al contenuto, riveste la massima importanza il testo di D. 14.3.11.5 (Ulp. 28 ad ed. ), sul quale ho già avuto modo di trattenermi in altre occasioni 11, ma che vale ora la pena riprendere per qualche ulteriore puntualizzazione. Nella prima parte di esso il giurista afferma:

Condicio autem praepositionis servanda est: quid enim si certa lege vel interventu cuiusdam personae vel sub pignore voluit cum eo contrahi vel ad certam rem? Aequissimum erit id servari, in quo praepositus est. Item si <qui> plures habuit institores vel cum omnibus simul contrahi voluit vel cum uno solo. sed et si denuntiavit cui, ne cum eo contraheret, non debet institoria teneri: nam et certam personam possumus prohibere contrahere vel certum genus hominum vel negotiatorum, vel certis hominibus permittere.

I terzi, nell'attività contrattuale con l'institore, erano vincolati a quanto stabilito nella praepositio dall'imprenditore preponente ( condicio autem praepositionis servanda est ), il quale poteva indicare in essa una o più clausole da includere nei singoli contratti relativi all'esercizio dell'impresa. Ulpiano ne offre qui un'esauriente tipologia, proponendo come esempi: a) l'inserimento di una certa lex ; b) l'intervento di garanti personali o l'assunzione di garanzie reali; c) la limitazione ad un certo oggetto ( quid enim - vel ad certam rem? ). L'indicazione di clausole di questo tipo viene pienamente ammessa e la loro osservanza è ritenuta conforme ad equità ( aequissimum erit id servari, in quo praepositus est ). La stessa regola è ribadita subito dopo ( item ), allorché si avanzano due diverse ipotesi di come poteva essere articolato il contenuto della preposizione, prevedendosi: d) la nomina di più institori con compiti diversi, quali quelli di intervenire congiuntamente o disgiuntamente nella conclusione dei contratti ( item - cum uno solo ); e) il divieto di contrarre con l'institore a carico di certe persone o di un certum genus hominum vel negotiatorum ed il permesso di farlo concesso a determinate persone ( sed et si denuntiavit - permittere ).

Come si vede, le clausole sub a), b) e c) rappresentano, per così dire, delle “condizioni generali”, che il preponente poteva predisporre, attribuendo all'institore la gestione di un dato tipo di impresa, e che, una volta predisposte, dovevano riprodursi nei singoli contratti tra institore e terzi attinenti all'oggetto dell'impresa. Ciò non esclude, come è ovvio, che i poteri di esercizio di un'impresa venissero conferiti senza indicazione di “condizioni generali” per l'attività contrattuale.

Diversamente la disposizione prevista sub d) concerne piuttosto le modalità che poteva in concreto assumere la praepositio , con ripartizione dei poteri tra più institori, mentre quella riportata sub e) viene a toccare l'esercizio degli stessi, vietato nei confronti di alcune persone o categorie e/o ammesso per altre.

Ove simili clausole e modalità fossero state debitamente pubblicizzate nelle forme che ora andremo ad esaminare, i terzi contraenti che non le avessero osservate vedevano cessare a proprio favore la tutela dell' actio institoria contro l'imprenditore, come meglio vedremo in alcune situazioni considerate nel prossimo paragrafo. Si delinea così un regime di piena libertà per quest'ultimo di stabilire e modificare le condizioni contrattuali e l'esercizio dei poteri concernenti la gestione dell'impresa; ma tale libertà incontrava un limite invalicabile espresso nella parte conclusiva del testo, in cui si dice:

sed si alias cum alio contrahi vetuit continua variatione, danda est omnibus adversus eum actio: neque enim decipi debent contrahentes.

Qualora infatti una continua variazione dei divieti e permessi di contrarre con l'institore ( sed si alias – continua variatione ) avesse occasionato una situazione di incertezza nei terzi contraenti circa i suoi poteri, essi trovavano puntualmente tutela mediante la concessione dell'azione institoria contro il preponente ( danda est omnibus adversus eum actio ), con fondamento sulla ratio neque decipi debent contrahentes .

Questa disposizione, che il giurista enuncia con riferimento alle modalità della preposizione indicate sopra sub d) ed e) , è, a mio avviso, applicabile anche ad ogni continua variatio delle eventuali “condizioni generali”, quali quelle sub a), b) e c) , a cui doveva uniformarsi la contrattazione con l'institore, proprio in virtù della ratio di non ingannare i terzi contraenti, espressa in chiusura del paragrafo. Essa infatti, come ho altrove sottolineato 12, in quanto incarnazione del principio della buona fede oggettiva, non può che informare di sé l'intera disciplina ora descritta, riequilibrando, da un lato, la posizione di inferiorità di quanti si fossero trovati a contrarre con l'institore per prestazioni compiute dall'impresa, e permettendo, dall'altro, un controllo in sede giurisdizionale della sua effettiva applicazione, grazie all'esercizio dell' actio institoria .

Al contenuto di una preposizione institoria resa conoscibile ai terzi si richiama anche il § 2 di D. 14.3.11, nel quale si sottolinea la sua particolare funzione:

De quo palam proscriptum fuerit, ne cum eo contrahatur, is praepositi loco non habetur: non enim permittendum erit cum institore contrahere, sed si quis nolit contrahi, prohibeat: ceterum qui praeposuit tenebitur ipsa praepositione .

Se fuori della sede dell'impresa sia stato apertamente dato avviso ai terzi di non contrarre con chi opera in essa ( de quo palam – contrahatur ), questi non si considera preposto ( is praepositi loco non habetur ) e non assume quindi il ruolo di institore. Infatti la preposizione institoria non è diretta ad autorizzare i terzi a contrarre con l'institore, bensì – eventualmente – a vietare a certe persone di farlo, qualora il preponente non lo voglia ( non enim permittendum - prohibeat ); in mancanza di un'espressa proibizione in tal senso il preponente sarebbe stato tenuto ipsa praepositione ( ceterum qui praeposuit tenebitur ipsa praepositione ).

Come appare evidente, la preposizione institoria, in quanto atto di conferimento dei poteri di gestione di un'impresa, vincola di per se stessa l'imprenditore per la contrattazione svolta dall'institore in rapporto all'attività di questa. Il compimento della preposizione implica infatti come conseguenza che i terzi possano concludere singoli contratti per le prestazioni fornite dall'impresa senza necessità di espliciti permessi da parte dell'imprenditore medesimo. La praepositio viene dunque a costituire l'elemento centrale su cui si fonda la sua responsabilità, relegando sullo sfondo, se non del tutto assorbendo, almeno all'epoca di Ulpiano, la relazione potestativa pater – filius o dominus – servus , che era stata in origine la base del rapporto institor – preponente 13.

Se confrontiamo poi le affermazioni del § 2 con quelle contenute nel § 5 esaminato in precedenza, ne emerge una disciplina chiara ed armonica sotto il profilo che qui interessa. Se l'imprenditore avesse desiderato precisare più dettagliatamente il proprio ambito di responsabilità derivante dalla praepositio, aveva facoltà di farlo, fissando in essa certe regole per l'esercizio dei poteri di gestione ed indicando clausole da rispettare nella conclusione dei singoli contratti con l'institore in ordine all'oggetto dell'impresa. Un corollario di ciò era dato dal caso in cui avesse voluto escludere taluno da questa attività contrattuale: il divieto doveva allora formalizzarsi nella preposizione stessa, per evitare altrimenti di esservi tenuto, come mettono in luce le parole si quis nolit contrahi - praepositione del § 2 e certam personam possumus prohibere – permittere del § 5. Un identico regime valeva anche qualora, al contrario, l'imprenditore intendesse ammettere alla contrattazione solo alcuni soggetti o categorie. Mentre infatti un'ammissione generalizzata a contrarre con l'institore sarebbe andata contro la funzione in precedenza vista della preposizione ( non enim permittendum erit cum institore contrahere ), la limitazione dell'ammissione a specifiche persone o categorie rientrava nei poteri imprenditoriali di determinazione delle modalità di esercizio dell'impresa, secondo quanto rilevato nel § 5. Un esempio di ciò si riscontra in D. 14. 3. 17. 4, che tratteremo nel prossimo paragrafo.

Come è evidente da un esame complessivo dei §§ 2 e 5 di D. 14. 3. 11, il commento alle parole edittali praepositus e praeposuerit fornisce ad Ulpiano l'occasione di trattare la configurazione, più o meno ampia e variegata, che nella pratica poteva assumere il contenuto della praepositio in ossequio al principio della libertà di organizzazione dell'impresa, e parallelamente di fissare precisi confini ai poteri di libera configurazione, onde tutelare, attraverso la concessione dell' actio institoria, le ragioni dei terzi contraenti.

I §§ 3 e 4 di D. 14. 3. 11 si occupano invece delle forme di pubblicità della preposizione. Le disposizioni racchiuse in essi sono state già da me brevemente esposte in altra sede 14, senza tuttavia approfondire alcuni punti, che appare invece opportuno considerare ora più attentamente. Nel § 3 Ulpiano riporta:

Proscribere palam sic accipimus claris litteris, unde de plano recte legi possit, ante tabernam scilicet vel ante eum locum in quo negotiatio exercetur, non in loco remoto, sed in evidenti. Litteris utrum Graecis an Latinis? Puto secundum loci condicionem, ne quis causari possit ignorantiam litterarum. Certe si quis dicat ignorasse se litteras vel non observasse quod propositum erat, cum multi legerent cumque palam esset propositum, non audietur.

L'affissione con cui si rendeva nota la praepositio doveva essere scritta a chiare lettere, in modo da potersi certamente leggere ( proscribere - recte legi possit ), e trovarsi avanti alla taberna o al luogo in cui era esercitata l'impresa ( ante tabernam … vel ante eum locum in quo negotiatio exercetur ), in una posizione non nascosta, ma evidente ( non in loco remoto, sed in evidenti ) ed in una lingua comprensibile agli abitanti del luogo ( secundum loci condicionem, ne quis causari possit ignorantiam litterarum ) 15. Qualora fossero stati rispettati tali requisiti, essendo l'affissione esposta al pubblico e consentendone perciò la lettura a molti ( cum multi legerent cumque palam esset propositum ), non avrebbero trovato ascolto ( non audietur ) eventuali doglianze di terzi contraenti con l'institore, che dicessero di non saper leggere oppure non avessero osservato il contenuto di quanto affisso ( certe si quis – quod propositum erat ).

Nel successivo § 4 il giurista così prosegue:

Proscriptum autem perpetuo esse oportet: ceterum si per id temporis, quo propositum non erat, vel obscurata proscriptione contractum sit, institoria locum habebit. Proinde si dominus quidem mercis proscripsisset, alius autem sustulit aut vetustate vel pluvia vel quo simili contingit, ne proscriptum esset vel non pareret, dicendum eum qui praeposuit teneri. Sed si ipse institor decipiendi mei causa detraxit, dolus ipsius praeponenti nocere debet, nisi particeps doli fuerit qui contraxit.

La pubblicità della proscriptio doveva essere permanente ( proscriptum autem perpetuo esse oportet ), per cui, ove i terzi avessero contratto con l'institore in un momento in cui questa non era affissa o era oscurata ( ceterum si per id temporis – contractum sit ), ad essi era comunque concessa l' actio institoria contro il preponente ( institoria locum habebit ). Ed ancora, se quest'ultimo, in quanto titolare del capitale commerciale 16, avesse effettuato l'affissione, ma un altro l'avesse tolta ( si dominus – alius autem sustulit ) oppure fosse accaduto che per vetustà o pioggia o altre cause simili l'affissione non vi fosse più o non si vedesse ( aut vetustate vel pluvia – non pareret ), anche in tale evenienze si poteva far ricorso all' actio institoria contro di lui ( dicendum eum qui praeposuit teneri ). Inoltre, nel caso in cui fosse stato lo stesso institore a sottrarre l'affissione per ingannare un contraente ( sed si ipse institor decipiendi mei causa detraxit ), il suo dolo nuoceva al preponente, a meno che il contraente medesimo non ne fosse stato partecipe ( dolus ipsius – qui contraxit ).

L'analisi congiunta dei due paragrafi ci consente di osservare i modi attraverso i quali trovavano attuazione concreta le esigenze di pubblicità della praepositio e le conseguenze previste se mancava del tutto o fosse venuta meno la possibilità di conoscerla.

Affinché dunque queste esigenze si considerassero soddisfatte, non si doveva adempiere, almeno agli inizi del III secolo d.C., a criteri formali rigidi e specifici, ma occorreva che l'affissione, contenente l'atto di conferimento dei poteri, fosse redatta in modo chiaro e leggibile, dove i due aggettivi, a mio parere, intendono far riferimento non solo alla scrittura, ma anche all'intellegibilità del contenuto, ed in un idioma conosciuto dagli abitanti del luogo dove era esercitata l'impresa. A tali criteri, per così dire, “redazionali”, si aggiungeva la necessità di collocare l'affissione stessa in una posizione “strategica” all'interno dell'azienda, o comunque della sede dell'impresa, onde fosse ben visibile a tutti i possibili contraenti. L'osservanza dei requisiti pubblicitari ora descritti era l'unica maniera con cui l'imprenditore preponente riusciva ad esonerarsi da responsabilità, rimanendo privi di protezione (salvo quanto vedremo nel prossimo paragrafo) quanti avessero contratto con l'institore al di fuori della sfera dei poteri a lui attribuiti, senza che fossero adducibili quali cause di giustificazione il proprio analfabetismo o ignoranza della lingua oppure non aver prestato attenzione all'affissione ed al suo contenuto.

Le conseguenze discendenti dal mancato adempimento di detti requisiti erano alquanto gravi. Veniva infatti concessa ai terzi contraenti l' actio institoria tutte le volte che fosse stato loro impossibile prendere visione, anche in via temporanea, del contenuto della preposizione attraverso la proscriptio per cause imputabili al preponente oppure all'institore: fra le prime, come si è visto, sono fatte rientrare l'assenza o l'oscuramento dell'affissione, la sua illeggibilità per il trascorrere del tempo, gli agenti atmosferici o altre cause simili, ed anche la sottrazione della stessa da parte di un terzo; fra quelle dovute all'institore, il giurista ricorda l'asportazione intenzionale dell'avviso con il fine di ingannare la controparte, a meno che anch'essa non fosse stata partecipe del dolo. In presenza di tutti gli eventi ora menzionati era dunque possibile, grazie a quest'azione, far valere la responsabilità in solidum dell'imprenditore per le obbligazioni contrattuali non adempiute dall'institore anche quando il contratto avesse esulato dai limiti della preposizione.

E mi sembra importante sottolineare che qui la responsabilità del preponente discende dalla semplice mancanza di conoscibilità, da parte dei terzi contraenti, del contenuto della preposizione, a prescindere se ciò dipenda da lui oppure dal suo institore. Nella prima ipotesi risulta altrettanto irrilevante se la situazione di non conoscibilità sia riconducibile ad un atteggiamento doloso o colposo del preponente stesso oppure ad un fatto altrui (è il caso della sottrazione della proscriptio ad opera di un terzo: si …alius autem sustulit ), mentre nella seconda ipotesi egli è comunque chiamato a rispondere quando tale situazione è occasionata dal dolo dell'institore, salvo collusione tra quest'ultimo ed il terzo contraente 17. Si profila pertanto, a mio modesto parere, un regime di responsabilità di tipo “oggettivo” a carico dell'imprenditore preponente, discendente da un “rischio di impresa”, inteso come rischio collegato all'esercizio di un'attività indirizzata verso uno scopo imprenditoriale 18.

L'elaborazione di simili disposizioni in tema di pubblicità della preposizione institoria appare, a mio parere, chiaramente ed indubbiamente ispirata a principi che, con terminologia moderna, potremmo definire di trasparenza, informazione, correttezza, posti, come è noto, alla base di ampi settori della moderna legislazione relativa alla contrattazione di massa con le imprese 19.

Per completare il quadro generale della disciplina concernente gli effetti della preposizione institoria nei confronti dei terzi contraenti resta ancora da considerare un altro testo di Ulpiano 60 ad ed. in D. 5. 1. 19. 3, nel quale viene detto:

Apud Labeonem quaeritur, si homo provincialis servum institorem vendendarum mercium gratia Romae habeat: quod cum eo servo contractum est, ita habendum atque si cum domino contractum sit: quare ibi se debebit defendere.

Labeone aveva affrontato la questione del luogo dove esercitare l'azione institoria, nel caso in cui il preponente fosse un provinciale che aveva uno schiavo institore a Roma incaricato di gestire un'impresa commerciale di vendita di merci ( Apud Labeonem – Romae habeat ). La soluzione avanzata era stata quella di considerare come concluso con il preponente il contratto posto in essere con l'institore ( quod cum eo servo – cum domino contractum sit ), con la conseguenza che l'azione si poteva intentare a Roma e lì il preponente stesso doveva assumere la propria difesa ( quare ibi se debebit defendere ). Che l'azione a disposizione dei terzi fosse l' actio empti institoria 20 non sembra dubbio proprio per l'esistenza di un institore preposto alla gestione dell'impresa di vendita di merci.

La soluzione di Labeone, che pare condivisa anche da Ulpiano, esprime la regola per cui questa azione era esercitata, anziché nel luogo dove l'imprenditore preponente risiedeva, nel luogo di esercizio dell'impresa 21. Ed il ragionamento che ne è alla base è quello di equiparare, nei contratti con i terzi inerenti all'oggetto dell'impresa, schiavo institore e padrone preponente, riconoscendosi quindi nel primo la qualità di un vero e proprio rappresentante diretto del secondo 22. Ed è proprio per questo che la regola doveva, a mio avviso, valere anche a prescindere dallo status dell'institore e non soltanto per le imprese ubicate a Roma.

Sotto il profilo che maggiormente qui interessa, il giurista rivela pertanto, attraverso siffatta soluzione, una palese sensibilità per le esigenze di tutela dei terzi contraenti con i gestori delle imprese (nella specie, gli acquirenti dell'institore incaricato della vendita di merci a Roma), i quali, per far valere i propri diritti, convenivano in giudizio l'imprenditore preponente dove l'impresa era gestita e non dove questi aveva la propria residenza, quando non vi era coincidenza fra le due località, senza perciò essere costretti a complicati e costosi spostamenti ai fini del processo.

 

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1 Cfr. i miei articoli Protección de los intereses económicos y protección de los clientes. Algunas reflexiones sobre la experiencia del derecho romano en materia bancaria in Revista de Investigaciones Jurídicas 25 (2001) 337 ss.; In margine a Gai. 4, 126a. Osservazioni sulla ‘ exceptio mercis non traditae ' e la ‘praedictio ne aliter emptori res traderetur quam si pretium solverit ' in un' ‘auctio argentaria' in Iuris vincula. Studi in onore di M. Talamanca VI (Napoli 2001) 316 ss.; Sobre los orígenes de la protección dada a los terceros contrayentes frente a los empresarios. Observaciones sobre algunas normativas del derecho romano ‘clásico' in Roma e America. Diritto romano comune 13 (2002) 233 ss.; Orígenes romanísticos de la buena fe objetiva en la contratación mercantil in Anuario Mexicano de Historia del Derecho 15 (2003) 601 ss.; Neque enim decipi debent contrahentes. Appunti sulla tutela dei contraenti con un'impresa nel diritto romano tardo repubblicano e del principato in Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e contemporanea. Studi in onore di A. Burdese III (Padova 2003) 89 ss.; Ancora sulla protezione dei contraenti con gli imprenditori nel diritto romano classico: il caso del receptum nautarum, cauponum et stabulariorum in Estudios de derecho civil. Obligaciones y contratos. Libro homenaje a F. Hinestrosa III (Bogotà 2003) 71 ss.; nonché, per ulteriori aspetti connessi all'esercizio di una banca, la mia recente monografia Profili giuridici delle attività e dell'organizzazione delle banche romane (Torino 2002) 158 ss.

2 Sull'argomento si rinvia alla parte I di CERAMI – DI PORTO – PETRUCCI, Diritto commerciale romano. Profilo storico (Torino 2004)

3 In linea – almeno così mi sembra - con gli auspici anche di recente espressi circa il modo di intendere e studiare la nuova materia dei Fondamenti del diritto europeo . Cfr. al riguardo CAPOGROSSI COLOGNESI, Riflessioni su “ i fondamenti del diritto europeo”: una occasione da non sprecare in IVRA 51 (2000) 1 ss.

4 Tale azione studiata, come è noto, per lungo tempo nell'ottica esclusiva della rappresentanza negoziale volontaria (cfr., per tutti, tra gli studi meno risalenti: CLAUS, Gewillkürte Stellvertretung im R?mischen Privatrecht (Berlin 1973), 64 ss.; HAMZA, Aspetti della rappresentanza negoziale in diritto romano in Index 9 (1980), 202 ss., con ampi richiami alla dottrina precedente), negli ultimi due decenni ha formato, invece, oggetto di studio sotto il profilo della ricostruzione della disciplina giuridica dell'organizzazione imprenditoriale romana: si vedano al riguardo: DI PORTO, Impresa collettiva e schiavo manager (II secolo a.C. – II secolo d.C.) (Milano 1984) 37 ss., 63 ss.; Servus e liberto, strumenti dell'imprenditore romano in Imprenditorialità e diritto nell'esperienza storico – giuridica (Palermo 1992) 231 ss. e Il diritto commerciale romano. Una “zona d'ombra” nella storiografia romanistica e nelle riflessioni storico – comparative dei commercialisti in Nozione, formazione ed interpretazione del diritto dall'età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate a F. Gallo III (Napoli 1997) 413 ss.; KIRSCHENBAUM, Sons, Slaves and Freedmen in Roman Commerce (New York - Jerusalem 1987) 31 ss., 90 ss.; SERRAO, L'impresa a Roma in Impresa e responsabilità (Pisa 1989) 24 ss.; Il diritto dalle genti al principato in Optima hereditas. Sapienza giuridica romana e conoscenza dell'ecumene (Milano 1992) 68 ss. e Impresa, mercato, diritto. Riflessioni minime in LO CASCIO (a cura di) Mercati permanenti e mercati periodici nel mondo romano . Atti incontri capresi 1997 (Bari 2000) 33 ss.; AUBERT, Business Managers in ancient Rome (K?ln - Leiden - New York 1994) 5 ss., 52 ss.; WACKE, Die adjektizischen Klagen im überblick I in ZSS 111 (1994) 280 ss.; F?LDI, Remarks on legal structures of enterprises in Roman law in RIDA 43 (1996) 179 ss; Eine alternative Ann?herungsweise: Gedanken zum Problem des Handelsrechts in der r?mischen Welt in RIDA 48 (2001) 78 ss.; WICKE, Respondeat superior. Haftung für Verrichtungshilfen im r?mischen, r?misch – holl?ndischen, englischen und südafrikanischen Recht (Berlin 2000) 93 ss.; MICELI, Sulla struttura formulare delle ‘actiones adiecticiae qualitatis (Torino 2001) 185 ss.; GARCIA GARRIDO, El Comercio, los Negocios y las Finanzas en el Mundo Romano (Madrid 2001) 46 ss.; CERAMI, Introduzione allo studio del diritto commerciale romano in CERAMI – PETRUCCI, Lezioni di diritto commerciale romano (Torino 2002) 43 ss. La genesi dell' actio institoria durante il II secolo a.C. non è posta in discussione neppure dalle recenti congetture di DE LIGT, Legal History and Economic History: the case of the actiones adiecticiae qualitatis in TR 67 (1999) 206 ss., il quale incentra il proprio studio sui soli problemi della loro datazione.

5 I testi di Gai 4. 71 e di D. 14. 3. 5pr. sono, nell'ordine: Institoria vero formula tum locum habet, cum quis tabernae aut cuilibet negotiationi filium servumve aut quemlibet extraneum sive servum sive liberum praeposuerit, et quid cum eo eius rei gratia cui praepositus est contractum fuerit e Cuicumque igitur negotio praepositus sit, institor recte appellabitur . In dottrina sull'argomento si rinvia, per tutti, a SERRAO, Impresa, mercato, diritto cit., 35 s. e a CERAMI, Introduzione allo studio cit., 57 s.

6 Sulla natura della praepositio cfr. HAMZA, Aspetti della rappresentanza negoziale cit., 206 ss. (con indicazioni della precedente bibliografia), che pone in luce le sue differenze rispetto al mandato ed alla procuratio omnium bonorum ; KIRSCHENBAUM, Sons, Slaves and Freedmen in Roman Commerce cit., 97 ss. Più di recente, vedasi MICELI, Sulla Struttura formulare delle ‘actiones adiecticiae qualitatis' cit., 199 ss.

7 I testi relativi al contenuto ed alla pubblicità della praepositio , che ci accingiamo ora ad esaminare, sono stati a lungo sospettati di interpolazioni formali e sostanziali: esemplare in tal senso è l'articolo di LONGO, "Actio exercitoria - actio institoria - actio quasi institoria” in Studi in onore di G. Scherillo II (Milano 1972) 610 ss., dove si trovano riportate anche le precedenti opinioni dei principali esponenti della critica interpolazionistica. Da molto tempo ormai se ne riconosce invece la genuinità: cfr., in generale, già SERRAO, voce “Institore (storia)” in Enciclopedia del dir . XXI (Milano 1971) 829. In tempi a noi più vicini si vedano HAMZA, Aspetti della rappresentanza negoziale cit., 206 s. (con altra bibliografia); KIRSCHENBAUM, Sons, Slaves and Freedmen in Roman Commerce cit., 93 s., 99 ss.; WACKE, Gallisch, Punisch, Syrisch oder Griechisch statt Latin? Zur schrittweisen Gleichberechtigung der Gesch?ftssprachen im r?mischen Reich in ZSS 110 (1993) 33 ss. e Die adjektizischen Klagen cit., 323 ss.; MICELI, Sulla Struttura formulare delle ‘actiones adiecticiae qualitatis' cit., 188 ss.; CERAMI, Introduzione allo studio cit., 60 s.

8Cfr. LENEL, Das Edictum Perpetuum (Leipzig 1927) 258 e nt. 12, secondo il quale i §§ 2- 6 di D. 14. 3. 11 sono frutto del commento ulpianeo proprio alla parola praeposuerit . Aderiscono all'ipotesi leneliana, tra gli studiosi più recenti, KASER - HACKL, Das r?mische Zivilprozessrecht (München 1996) 342; MANTOVANI, Le formule del processo privato romano (Padova 1999) 79 s.; CERAMI, Introduzione cit., 52, i quali, riportando la formula dell' actio empti institoria , così la ricostruiscono sul punto che qui interessa: Quod AA. de L. Titio, cum is a NN tabernae instructae praepositus esset, eius rei nomine … .

9 Vedasi, ad es., WACKE, Die adjektizischen Klagen cit., 323 e nt. 168.

10 Cfr., per tutti, SERRAO, voce “Institore” cit., 829; CERAMI, Introduzione allo studio cit., 60.

11 Cfr. PETRUCCI, Sobre los orígenes de la protección dada a los terceros contrayentes frente a los empresarios cit., 239 s. e Neque enim decipi debent contrahentes cit., 91 ss.

12 PETRUCCI, Neque enim decipi debent contrahentes cit., 93 ss.

13 Sulla praepositio quale fondamento esclusivo della responsabilità del preponente a prescindere dal rapporto potestativo cfr., per tutti, WACKE, Die adjektizischen Klagen cit., 295 ss., 323 s., secondo il quale ciò sarebbe avvenuto fin dalla genesi dell' actio institoria nel corso del II secolo a.C.; MICELI, Sulla Struttura formulare delle ‘actiones adiecticiae qualitatis' cit., 192 ss. In dottrina tuttavia alcuni studiosi (ad es., KIRSCHENBAUM , Sons, Slaves and Freedmen cit., 97 ss., SERRAO, Impresa e responsabilità cit., 20 e 24), mettono piuttosto l'accento sul carattere potestativo del vincolo preponente – institore come fonte della responsabilità, quando quest'ultimo, come doveva normalmente avvenire nei primi tempi, era una persona in potestate . La divergenza di vedute è in realtà meno profonda di quanto non sembrerebbe prima facie e può forse appianarsi proprio su un piano storico: la sempre maggiore diffusione dell'impiego di institori liberi o schiavi altrui avrebbe determinato l'irrilevanza del rapporto potestativo rispetto all'atto di conferimento dei poteri di gestione. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, risulta tuttavia difficile fissare, anche in via approssimativa, le tappe cronologiche di una tale evoluzione; nel secolo II secolo d.C. essa appare comunque già compiuta.

14 Cfr. PETRUCCI, Sobre los orígenes de la protección cit., 238 s.

15 Sull'importanza di usare nella pubblicità data alla praepositio una lingua conosciuta alla popolazione locale insiste, in particolare, WACKE, Gallisch, Punisch, Syrisch oder Griechisch statt Latin? cit., 33 ss., con citazione di altra letteratura. Cfr. anche AUBERT, Business Managers cit., 12.

16 Per l'accezione del termine mercis dominus , ricorrente in questo passo, nel senso di “imprenditore, proprietario del capitale commerciale” impiegato nella gestione di una azienda commerciale terrestre ( taberna instructa ) si rinvia a WACKE, Die adjektizischen Klagen cit., 331 s.; CERAMI, Introduzione allo studio cit., 21.

17 Cfr. sul punto WACKE, Die adjektizischen Klagen cit., 338.

18 Su questo concetto di rischio di impresa cfr. SERRAO, Impresa e responsabilità cit., 103 ss., seguito sul punto da FERCIA, Criter? di responsabilità.Modelli culturali dell'attribuzione di rischio e regime della nossalità nelle azioni penali in factum contra nautas, caupones et stabularios (Torino 2002) 10 s. e nt. 19, 48 s., 218 ss., che ne parlano a proposito delle azioni penali pretorie in factum contro nautae, caupones e stabularii , ma le osservazioni appaiono pienamente valide anche per il receptum , data l'identità del regime di responsabilità a carico degli imprenditori qui considerati. In senso sostanzialmente analogo si esprime perciò, non a caso, anche CARDILLI, Il ruolo della ‘dottrina' nella elaborazione del ‘sistema': l'esempio della ‘responsabilità contrattuale' in Roma e America. Diritto romano comune 1(1996) 106 ss.

19Su tali principi cfr., per tutti, ALPA, Il diritto dei consumatori (Roma – Bari 1999) 202 ss.; BUONOCORE, Contrattazione d'impresa e nuove categorie contrattuali (Milano 2000).

20 Per la cui formula si rinvia, per tutti, a CERAMI, Introduzione cit., 52 .

21 Sull'argomento della competenza territoriale si veda, per tutti, AMARELLI, Locus solutionis.Contributo alla teoria del luogo dell'adempimento in diritto romano (Milano 1984) 99 ss. e nt. 8.

22 Per un esame del passo in quest'ottica cfr. KIRSCHENBAUM, Sons, Slaves and Freedmen cit., 111.

 

 

 

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