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MATERIALI PER IL CORSO DI
ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento
anno accademico 2001-2002
OBBLIGAZIONI
Definizione e Fonti delle obbligazioni
Gai inst., III,88: Nunc transeamus ad obligationes. Quarum summa divsio in duas species diducitur: omnis enim obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto.
Passiamo adesso alle obbligazioni. La cui partizione maggiore le divide in due specie:ogni obbligazione, infatti, nasce da contratto o da delitto.
D.44,7,1 (Gaius, 2 aureorum): Obligationes aut ex contractu nascuntur aut ex maleficio aut proprio quodam iure ex variis causarum figuris.
Le obbligazioni nascono, o da contratto, o da delitto, o, secondo specifiche norme, da cause di diversa struttura.
Iust. inst.III,13pr. e 2: Nunc transeamus ad obligationes. obligatio est iuris vinculum, quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura. (2) Sequens divisio in quattor species diducitur: aut enim ex contractu sunt aut quasi ex contractu aut ex maleficio aut quasi ex maleficio. (...).
Ora passiamo alle obbligazioni. L’obbligazione è un vincolo giuridico in forza del quale siamo costretti a pagare qualche cosa secondo le norme del nostro stato. (2) La partizione successiva le divide in quattro specie: ci sono invero obbligazioni da contratto, da quasi contratto, da delitto, da quasi delitto.
D.44,7,3 (Paulus, 2 institutionum): Obligationum substantia non in eo consistit, ut aliquod corpus nostrum aut servitutem nostram faciat, sed ut alium nobis obstringat ad dandum aliquid vel faciendum vel praestandum.
L’essenza delle obbligazioni non sta nel rendere nostro qualcosa di materiale oppure un diritto di servitù, ma nel costringere un altro verso di noi a dare, fare, prestare qualche cosa.
I CONTRATTI
Gai inst., III,89: Et prius videamus de his, quae ex contractu nascuntur. Harum autem quattor genera sunt: aut enim re contrahitur obligatio aut verbis aut litteris aut consensu.
E prima vediamo le obbligazioni che nascono da contratto. Di cui vi sono quattro generi: infatti l’obbligazione si contrae mediante cosa, parole, scritti o con il (mero) consenso.
D.2,14,1,3 (Ulpianus, 4 ad edictum): Conventionis verbum generalis est ad omnia pertinens, de quibus negotii contrahendi transigendique causa consentiunt qui inter se agunt: nam sicuti convenire dicuntur qui ex diversis locis in unum locum colliguntur et veniunt, ita et qui ex diversis locis animi motibus in unum consentiunt, id est in unam sententiam decrrunt. Adeo autem conventionis nomen generale est, ut eleganter dicat Pedius nullum esse contractum nullam obligationem, quae non habeat in se conventionem, sive re sive verbis fiat: nam et stipulatio, quae verbis fit, nisi habeat consensum nulla est.
Convenzione è parola generale che si riferisce a ogni cosa, intorno alla quale si trovano d’accordo persone che acconsentono fra loro per contrarre o transigere un affare. Come si usa la parola “convenire” parlando di quelle persone che da luoghi differenti si radunano in un unico luogo, così la stessa parola “convenire” si usa parlando di quelle persone che, spinte da differenti motivi personali, acconsentono alla medesima cosa, cioè le parti si trovano d’accordo. Il nome poi di convenzione ècosì generale che, come dice Pedio, non esiste contratto nè obbligazione che non abbia in sè l’elemento dell’accordo, sia che si contragga mediante cosa, sia mediante parole solenni, in quanto anche la stipulazione, che è contratto verbale, se non ha il consenso risulta nulla.
Mutuum (mutuo)
Gai inst. III,90: Re contrahitur obligatio velut mutui datione. Mutui autem datio proprie in his rebus contingit quae pondere numero mensura constant, qualis est pecunia numerata vinum oleum frumentum aes argentum aurum. Quas res aut numerando aut metiendo aut pendendo in hoc damus, ut accipientium fiant et quandoque nobis non eaedem, sed aliae eiusdem natura reddantur. Unde etiam mutuum appellatum est, quia quod ita tibi a me datum est, ex meo tuum fit.
L’obbligazione si contrae mediante cosa come nel caso del mutuo.. La dazione a mutuo concerne propriamente quelle cose che valgono per peso, numero o misura, quali il denaro contante, il vino, l’olio, il frumento, il rame, l’argento e l’oro. Diamo queste cose, a numero, peso o misura, affinché diventino di chi le riceve, e ci vengano successivamente restituite, non le stesse, ma altre della stessa natura. Per questo è chiamato mutuo, perché quel che ti è dato in questo modo da me, diventa da mio tuo.
D.12, 1,18pr. (Ulpianus, 7 disputationum): Si ego pecuniam tibi quasi donaturus dedero, tu quasi mutuam accipias, Iulianus scribit donationem non esse: sed an mutua sit, videndum. Et puto nec mutuam esse magisque nummos accipientis non fieri, cum alia opinione acceperit. Quare si eos consumpserit, licet condictione teneatur, tamen doli exceptione uti poterit quia secundum voluntatem dantis nummi sunt consumpti.
Se io ti ho consegnato del denaro con l’intenzione di volertelo donare e tu l’hai ricevuto come se fosse stato dato a mutuo, Giuliano scrive che non si tratta di donazione; ma bisogna vedere se si tratta di mutuo. E penso che non si tratti neppure di mutuo, in quanto il denaro non è passato in proprietà dell’accipiente, avendo egli ricevuto con altra intenzione rispetto al dante causa. Per la qual cosa se l’accipiente avrà utilizzato quella somma di denaro, benché sia tenuto a rispondere verso il dante causa con l’azione di intimazione, tuttavia avrà a sua disposizione l’eccezione di dolo, poiché quella somma di denaro è stata utilizzata secondo la volontà del dante causa.
Commodatum (comodato)
D.13,6,18,2-3 (Gaius, 9 ad edictum provinciale): Possunt iustae causae intervenire, ex quibus cum eo qui commodasset agi deberet: veluti de impensis in valetudinem servi factis quaeve post fugam requirendi reducendique eius causa factae essent: nam cibariorum impensae naturali scilicet ratione ad eum pertinent, qui utendum accepisset. Sed et id , quod de impensis valetudinis aut fugae diximus, ad maiores impensas pertinere debet: modica enim impendia verius est, ut sicuti cibariorum ad eundem pertineant. (3) Item qui sciens vasa vitiosa commodavit, si ibi infusum vinum vel oleum corruptum effusumve est, condemnandus eo nomine est.
Possono insorgere delle giuste cause per cui si debba agire nei confronti del comodante, come nel caso delle spese sostenute per la malattia di un servo o quelle fatte per ricercarlo e riprenderlo dopo una fuga: mentre appare naturale che le spese di vitto gravino sul comodatario. Ma quanto abbiamo predicato per le spese di malattia e di fuga deve riferirsi anche alle spese straordinarie, mentre le spese ordinarie è più giusto invece che spettino al comodatario. (3) Chi consapevolmente diede in comodato dei vasi difettosi, se il vino o l’olio in essi introdottosi guastò o ando perduto, il comodante deve essere condannato a tale titolo.
Depositum (deposito)
D.12,19,9 (Ulpianus 26 ad edictum): deposui apud te decem, postea permisi tibi uti: Nerva Proculus etiam antequam moveantur, condicere quasi mutua tibi haec posse aiunt, et est verum, ut et Marcello videtur: animo enim coepit possidere. Ergo transit periculum ad eum, qui rogavit et poterit ei condici.
Ho depositato presso di te una somma di dieci, e successivamente ti ho permesso di utilizzare quella somma: Nerva e Proculo dicono che, anche prima del loro effettivo utilizzo da parte tua, ti può essere richiesta attraverso l’azione di mutuo come se fossero state date a mutuo; ed è vero come sembra anche a Marcello: infatti hai iniziato a possederla come se fosse tua. Di conseguenza il rischio del perimento passa a colui che le ha richieste come mutuo e a lui possono essere richieste con l’azione di mutuo.
D.16,3,6 (Ulpianus, 2 ad edictum): Si pecunia apud te ab initio hac lege deposita sit, ut si voluisses utereris, prius quam utaris depositi teneberis.
se ho inizialmente depositato presso di te una somma di denaro con la clausola contrattuale che se tu vorrai, potrai disporne, prima del tuo (eventuale) utilizzo, tu risponderai a titolo di deposito.
Pignus (pegno)
D.13,7,1pr. (Ulpianus, 40 ad Sabinum): Pignus contrahitur non sola traditione, sed etiam nuda conventione, etsi non traditum est.
Il pegno si contrae non solo con la consegna, ma anche con semplice accordo, e pure se non è stato ancora consegnato.
D.13,7,9,2 (Ulpianus, 28 ad edictum): Proprie pignus dicimus, quod ad creditorem transit, hypothecam, cum non transit nec possessio ad creditorem.
Definiamo propriamente pegno, ciò che viene trasmesso al creditore, mentre parliamo di ipoteca, quando non passa al creditore il possesso della cosa.
D.13,7,8pr. (Pomponius, 35 ad Sabinum): Si necessarias impensas fecerim in servum aut in fundum, quem pignoris causa acceperim, non tantum retentionem, sed etiam contrariam pigneraticiam actionem habebo: finge enim medicis, cum aegrotaret servus, dedisse me pecuniam et eum decessisse, item insulam fulsisse vel refecisse et postea deustam esse, nec habere quod possem retinere.
Se io avrò sostenuto delle spese necessarie per il servo o per il fondo che io avevo ricevuto a titolo di pegno, non disporrò solo del diritto di ritenzione, ma mi spetterà anche l’azione pigneratizia contraria; fai il caso che io abbia pagato dei medici, essendo ammalatosi il servo, e poi costui morì, oppure che io feci delle spese per per riparare o rifare un’edificio, che poi s’incendiò: in tali casi non avrei alcun bene su cui esercitare il diritto di ritenzione.
Stipulatio (stipulazione)
Gai inst., III,92-93: Verbis obligatio fit ex interrogatione et responsione, veluti dari spondes? spondeo, dabis? dabo, promittis? promitto, fidepromittis? fidepromitto, fideiubes? fideiubeo, facies? facio. (93) Sed haec quidem verborum obligatio dari spondes? spondeo propria civium Romanorum est; ceterae vero iuris gentium sunt, itaque inter omnes homines sive cives Romanos sive peregrinos valent (...).
L’obbligazione verbale si fa con domanda e risposta, come: “prometti solennemente che sarà dato? Prometto solennemente darai? Darò, prometti? Prometto? fideprometti? Fideprometto, presti fideiussione? Presto fideiussione, farai? Farò. (93) Ma l’obbligazione verbale “dari spondes? spondeo” è propria solo dei cittadini romani, mentre le altre sono di diritto delle genti, e quindi hanno valore per tutti gli uomini, romani e stranieri.
D.45,1,1,6 (Ulpianus, 48 ad Sabinum): Eadem an alia lingua respondeatur, nihil interest. Proinde si quis Latine interrogaverit, respondeatur ei Graece, dummodo congruenter respondeatur, obligatio constituta est. (...).
Nulla importa se si risponda nella stessa o in un’altra lingua. Pertanto, se taluno avrà interrogato in latino e gli è stato risposto in greco, purché si risponda opportunamente, l’obbligazione è valida.
D.45,1,1,2 (Ulpianus, 48 ad Sabinum): Si quis interroget “dabis?” responderit “quid ni?” et is utique in ea causa est, ut obligetur (...).
Se taluno interroghi “darai?” e uno gli risponde: “perché no?” anche costui si pone nella condizione di essere obbligato.
C.8,37,10 (Imp. Leo A. Erythrio pp.): Omnes stipulationes, etiamsi non sollemnibus vel directis, sed quibuscumque verbis pro consensu contrahentium compositae sint, legibus cognitae suam habeant firmitatem. (...Costantinopoli...) [a.472]
Tutte le stipulazioni, peraltro già prese in esame in precedenti costituzioni imperiali, abbiano valore, pur se non siano state perfezionate con parole solenni e dirette, ma con parole qualsiasi fondandosi sul consenso dei contraenti.
Emptio-venditio (compravendita)
Gai inst. III,139-140: Emptio et venditio contrahitur, cum de pretio convenerit, quamvis nondum pretium numeratum sit, ac ne arra quidem data fuerit (...). Pretium autem certum esse debet. Nam alioquin si ita inter nos convenerit, ut quanti Titius rem aestimaverit, tanti sit empta, Labeo negavit ullam vim hoc negotium habere; cuius opinionem Cassius probat. Ofilius et eam emptionem et venditionem; cuius opinionem Proculus secutus est.
La compravendita si contrae non appena si raggiunge l’accordo sul prezzo, anche se la somma di denaro non sia ancora stata versata a titolo di prezzo e nemmeno data un’arra (...). Il prezzo deve essere certo. Se invece noi ci siamo accordati che la cosa sia comprata per il prezzo che Tizio stimerà, Labeone disse che un tale negozio non aveva alcun effetto. Ma per Ofilio anche questa è una (valida) compravendita e Proculo ha seguito questa opinione.
D.18,1,7,1 (Ulpianus, 28 ad Sabinum): Huiusmodi emptio ‘quanti tu eum emisti’, ‘quantum pretii in arca habeo’, valet: nec enim incertum est pretium tam evidenti venditione: magis enim ignoratur, quanti emptus sit, quam in rei veritate incertum est.
Una compravendita regolata da una siffatta clausola: “al valore del prezzo a cui tu lo comprasti”, “a quanto denaro ho in cassa” è valida: né infatti appare incerto il prezzo di una vendita tanto manifesta: infatti il prezzo risulta piuttosto ignorato che non incerto nella verità oggettiva.
D.18,1,8pr.-1 (Pomponius, 9 ad Sabinum): Nec emptio nec venditio sine re quae veneat potest intellegi. Et tamen fructus et partus futuri recte emuntur, ut, cum editus esset partus, iam tunc, cum contractum esset negotium, venditio facta intellegatur; sed si id egerit venditor, ne nascatur aut fiant, ex empto agi posse. (1) Aliquando tamen et sine re venditio intellegitur, veluti cum quasi alea emitur, quod fit, cum captum piscium vel avium vel missilium emitur: emptio enim contrahitur etiam si nihil inciderit, quia spei emptio est (...).:
Né la compera, né la vendita possono essere concepite senza la cosa, oggetto della vendita. E tuttavia i frutti e i parti futuri si comprano validamente, in modo che, al momento in cui il feto sia venuto alla luce, si consideri perfezionata la compravendita dal momento in cui fu contratto il negozio; ma se il venditore si sarà adoperato per impedire chei parti o i frutt non vengno ad esistenza, il compratore potrà con l’azione di compera nei suoi confronti. Tuttavia talvolta si può concepire una vendita anche senza l’oggetto (della vendita), come quando si copra la così detta alea: cioè quando si compra il prodotto della pesca, della caccia o dei missilia (distribuzione di donativi alla folla in occasione di feste pubbliche): la compera infatti è perfezionata, anche se nulla verrà raccolto, poiché si compra la speranza.
Iust. inst., III,23,3: Cum autem emptio et venditio contracta sit (...), periculum rei venditae statim ad emptorem pertinet, tametsi adhuc ea res emptori tradita non sit. itaque si homo mortuus sit vel aliqua parte corporis laesus fuerit, aut aedes totae aut aliqua ex parte incendio consumptae fuerint, ut fundus vi fluminis totus vel aliqua ex parte ablatus sit, sive etiam inundatione aquae aut arboribus turbine deiectis longe minor aut deterior esse coeperit: emptoris damnum est, cui necesse est, licet rem non fuerit nactus, pretium solvere. quiquid enim sine dolo malo et culpa venditoris accidit, in eo venditor securus est, sed et si post emptionem fundo aliquid per alluvionem accessit, ad emptors commodum pertinet: nam et commodum eius debet, cuius periculum est.
Una volta perfezionata una compravendita il rischio del perimento della cosa venduta passa subito al compratore, anche se quella cosa non gli è stata ancora consegnata. Quindi, se lo schiavo sia morto o sia stato menomato in qualche parte del corpo, oppure l’edificio tutto o in parte sia andato distrutto da un incendio, o il fondo sia stato spazzato via in tutto o in parte dalla violenza del fiume, oppure anche sia stato ridotto nelle dimensioni o versi in condizioni peggiori a causa dell’inondazione dell’acqua o per l’abbattimento delle piante ad opera del turbine: il danno è del compratore, che deve pagare il prezzo, anche se non abbia ottenuto la cosa. Pertanto per tutto quanto accade senza dolo o colpa del venditore, il venditore è esente da rischi. Ma se dopo la compravendita il fondo si incrementa di qualchecosa per alluvione, tale incremento viene a vantaggio del compratore: infatti anche i vantaggi devono essere di colui che sopporta i rischi.
D.12,1,11pr. (Ulpianus 26 ad edictum): Rogasti me, ut tibi pecuniam crederem: ego cum non haberem, lancem tibi dedi vel massam auri, ut eam venderes et nummis utereris. si vendideris, puto mutuam pecuniam factam. quod si lancem vel massam sine tua culpa perdideris prius quam venderes, utrum mihi an tibi perierit, quaestionis est. mihi videtur Nervae distinctio verissima existimantis multum interesse, venalem habui hanc lancem vel massam nec ne, ut si venalem habui, mihi perierit, quemadmodum si alii dedissem vendendam: quod si non fui proposito hoc ut venderem, sed haec causa fuit vendendi, ut tu utereris, tibi eam perisse, et maxime si sine usuris credidi.
Mi hai chiesto del denaro in prestito, non disponendone, ti ho consegnato un piatto o un lingotto d’oro, affinché tu lo vendessi per potere poi utilizzare il denaro ricavato. Se hai effettuato la vendita ritengo che vi sia mutuo. Ma vi è dubbio sul fatto di chi debba sopportare la perdita del bene perito senza tua colpa prima della vendita. Mi sembra del tutto esatta la distinzione di Nerva, per cui è primario conoscere se io avessi posto in vendita il bene o meno, nel primo caso sarò il a sopportare il rischio del perimento della cosa, come se io avessi incaricato un terzo della vendita. Se invece questi oggetti non furono consegnati per essere venduti, ma io fui indotto a venderli perché tu ti servissi del prezzo ricavato, allora il rischio sarà a tuo carico, a maggior ragione se il prestito era senza interessi.
D.18,1,25,1 (Ulpianus, 34 ad Sabinum): Qui vendidit necesse non habet fundum emptoris facere, ut cogitur qui fundum stipulanti spopondit.
Il venditore non ha la necessità di rendere proprietario del fondo il compratore, come invece è costretto colui che ha promesso il fondo allo stipulante.
D.19,1,30,1 (Africanus, 8 quaestionum): Si sciens alienam rem ignoranti mihi vendideris, etiam priusquam evincatur utiliter me ex empto acturum putavit in id, quanti mea intersit meam esse factam: quamvis enim alioquin verum sit venditorem hactenus teneri, ut rem emptori habere liceat, non etiam ut eius faciat, quia tamen dolum malum abesse praestare debeat, teneri eum, qui sciens alienam, non suam ignoranti vendidit: id est maxime vel pignori daturo vendiderit.
Se tu scientemente avrai venduto una cosa altrui a me ignaro, si reputò che, anche prima che la cosa venga evitta, io potrò agire utilmente con l’azione di compera in quanto è mio interesse che la cosa diventi mia: sebbene, infatti, sia vero che il venditore è tenuto sino al punto di garantire al compratore il pacifico godimento della cosa, ma non anche di renderla di proprietà del compratore, poiché tuttavia deve garantire l’assenza di dolo, chi venda una cosa altrui a chi era ignaro deve essere tenuto, e ciò sicuramente quando avrà venduto uno schiavo che stava per essere manomesso o dato in pegno.
D.19,2,22,3 (Paulus, 34 ad edictum) Quemadmodum in emendo et vendendo naturaliter concessum est quod pluris sit minoris emere, quod minoris sit pluris vendere e ita invicem se circumscribere, ita in locationibus quoque et conductionibus iuris est.
In ogni modo nel comprare e nel vendere è naturalmente consentito che si compri a meno ciò che vale di più e che si venda a più ciò che vale meno e così ci si inganni reciprocamente, e questa è una regola parimenti valida nelle locazioni e conduzioni.
C.4,44,2 (Impp. Diocletianus et Maximianus AA. Aurelio Lupo): Rem maioris pretii si tu vel pater tuus minoris pretii distraxit, humanum est, ut vel pretium te restituente emptoribus fundum venditum recipias auctoritate intercedente iudicis, vel, si emptor elegerit, quod deest iusto pretio recipies. Minus autem pretium esse videtur, si nec dimidia pars veri pretii soluta sit.
Se tu o tuo padre avete alienato una cosa di maggior valore ricevendo un prezzo minore, è umano o che tu, restituendo il prezzo ai compratori, recuperi il fondo venduto con il ricorso all’autorità giurisdizionale, o che tu, se lo preferirà il compratore, riceva quanto manca al giusto prezzo. Il prezzo si considera minore se non sia stata pagata neppure la metà del giusto prezzo.
D.21,1,38pr. (Ulpianus, 2 ad edictum aedilium curulium): Aediles aiunt:’Qui iumenta vendunt, palam recte dicunto, quid in quoque eorum morbi vitiique sit, utique optime ornata vendendi causa fuerint, ita emptoribus traderentur. Si quid ita factum non erit (...) morbi autem vitiive causa inemptis faciendis in sex mensibus, vel quo minoris cum venirent fuerint, in anno iudicium dabimus. Si iumenta paria simul venierint et alterum in ea causa furit, ut redhiberi debeat, iudicium dabimus, quo utrumque redhibeatur’.
Gli edili dichiarano: ”coloro che vendono animali da tiro e da soma devono attestare manifestamente e con precisione le malattie e i vizi che ciascun animale abbia e, comunque siano stati preparati e abbelliti a scopo di vendita,, così li consegnino ai compratori. Se qualcosa di quanto precritto non sarà stato fatto, daremo azione entro sei mesi per la rescissione della compravendita a causa della malattia o del vizio, oppure entro l’anno per la riduzione al minor valore che tali animali avevano al momento della loro vendita. Se sarà stata venduta insieme una coppia di animali e solo uno dei due si troverà in siffatta situazione da dover essere restituito, concederemo azione affinché siano restituiti entrambi.
D.18,3,1 (Ulpianus, 28 ad Sabinum): Si fundus commissoria lege venierit, magis est, ut sub condicione resolvi emptio quam sub condicione contrahi videatur.
Se la vendita del fondo sarà stata regolata con una lex commissoria, sembra piuttosto che la compravendita si risolva sotto condizione più che non si contragga sotto condizione.
D.18,3,4pr. (Ulpianus, 32 ad edictum): Si fundus lege commissoria venierit, hoc est ut, nisi intra certum diem pretium sit exsolutum, inemptus fieret (...).
Se la vendita del fondo sarà regolata con una lex commissoria, cioè che il fondo non si consideri venduto se entro un certo termine non sia pagato il prezzo.
D.18,2,1 (Paulus, 5 ad Sabinum): In diem addictio ita fit: ‘ille fundus centum esto tibi emptus, nisi si quis intra kalendas Ianuarias proximas meliorem condicionem fecerit, quo res a domino abeat’.
Il patto aggiunto dell’ “in diem addictio” si realizza nel modo seguente: “quel fondo ti sia comprato a cento, a meno che qualcuno entro le prossime calende di gennaio non avrà fatto una migliore offerta perché la cosa sia ceduta dal proprietario”.
D.18,1,3 (Ulpianus, 28 ad Sabinum): Si res distracta sit, ut si displicuisset inempta esst, constat non esse sub condicione distractam, sed resolvi emptionem sub condicione.
Se una cosa sia stata consegnata con la clausola che se non fosse stata gradita non risulterebbe comprata, non appare essere stata consegnata sotto condizione (sospensiva), ma la compravendita si risolve sotto condizione.
Iust. inst., III,23,4: Emptio tam sub condicione quam pure contrahi potest. Sub condicione veluti ‘si Stichus intra certum diem tibi placuerit, erit tibi aureis tot’.
La compra(vendita) può essere contratta tanto pura quanto sotto condizione. Sotto condizione, ad esempio: “se Stico entro un certo termine sia stato di tuo gradimento, ti sarà comprato per tot aurei”.
Locatio rei (locazione [della cosa])
Gai inst., III, 145-146: Adeo autem emptio et venditio et locatio et conductio familiaritatem aliquam inter se habere videntur, ut in quibusdam causis quaeri soleat, utrum emptio et vendito contrahatur an locatio et conductio (...). (146) Item si gladiatores ea lege tibi tradiderim, ut in singulos qui integri exierint pro sudore denarii XX mihi darentur, in eos vero singulos qui occisi aut debilitati fuerint denarii mille, quaeritur, utrum emptio et venditio an locatio et conductio contrahatur. Et magis placuit eorum qui integri exierint locationem et conductionem contractam videri, at eorum qui occisi aut debilitati sunt emptionem et venditionem esse; idque ex accidentibus apparet, tamquam sub condicione facta cuiusque venditione an locatione. Iam enim non dubitatur, quin sub condicione res veniri aut locari possint.
Pare esserci una tale familiarità fra compravendita e locazione-conduzione , che in taluni casi ci si è soliti chiedere se si contragga una compravendita o una locazione-conduzione. (...) (146) Se ti avrò consegnato dei gladiatori con la clausola che per ciascuno di quelli rimasti incolumi (dopo i combattimenti nei giochi circensi) mi siano corrisposti venti denari, mentre per ciascuno di quelli uccisi o mutilati mi siano corrisposti mille denari: ci si chiede se si contragga una compravendita o una locazione conduzione. Prevalse l’opinione che per coloro che sono risultati incolumi si contragga una locazione conduzione, mentre per quelli uccisi o mutilati si tratterà di una compravendita; e ciò emerge dalle circostanze, come se la vendita o la locazione di ciascuno sia stata sottoposta a condizione. Infatti ormai non si dubita più che si possa vendere o locare sotto condizione.
Locatio operis (locazione [dell’opera])
Gai inst., III,147: Item quaeritur, si cum aurifice mihi convenerit, ut is ex aure suo certi ponderis certaeque formae anulos mihi faceret, et acciperet verbi gratia denarios CC, utrum emptio venditio an locatio et conductio contrahatur. Cassius ait materiae quidem emptionem venditionemque contrahi, operarum autem locationem et conductionem. Sed plerisque placuit emptionem et venditionem contrahi. Atqui si meum aurum ei dedero mercede pro opera constituta, convenit locationem conductionem contrahi.
Nel caso che io mi sia accordato con un orefice affinché mi facesse con oro di sua proprietà degli anelli con una certa forma e un certo peso, dietro corrispettivo, per esempio, di duecento denari, ci si chiede se si contragga una compravendita o una locazione-conduzione. Cassio dice che si contrae compravendita della materia e locazione-conduzione dell’opera. Ma l’opinione maggioritaria è che si tratti di compravendita.. Però nel caso che io gli avrò fornito l’oro e stabilito un corrispettivo per l’opera, si è d’accordo nell’affermare che si contrae una locazione-conduzione.
D.19,2,25,7 (Gaius, 10 ad edictum provinciale): Qui columnam transportandam conduxit, si ea dum tollitur aut portatur aut reponitur, fracta sit, ita id periculum praestat, si qua ipsius eorumque, quorum opera uteretur, culpa acciderit: culpa autem abest, si omnia facta sunt, quae diligentissimus quisque observaturus fuisset. idem scilicet intellegemus et si dolia vel tignum transportandum aliquis conduxerit: idemque etiam ad ceteras res transferri potest.
Chi abbia ricevuto in conduzione una colonna per trasportarla, se questa sia andat rotta nel momento in cui veniva rimossa, trasportatao ricollocata, risponde di tale perimento se questo si sia verificato per una colpa di lui stesso o di quelli della cui opera egli si valeva; non v’è colpa alcuna se tutto sia stato fatto come avrebbe fatto ogni persona di grande diligenza.Lo stesso dovremo dire ovviamente se taluno avrà ricevuto in conduzione il trapsorto di botti, o di materiale di costruzione, e lo stesso può dirsi anche per tutte le altre cose.
D.19,2,9,5 (Ulpianus, 32 ad edictum): Celsus etiam imperitiam culpae adnumerandam libro octavo digestorum scripsit: si quis vitulos pascendos vel sarciendum quid poliendumve conduxit, culpam autem esse: quippe ut artifex, inquit, conduxit.
Nell’ottavo libro dei Digesta, Celso scrisse che anche l’imperizia deve considerarsi colpa: se qualcuno abbia riceuto in conduzione dei vitelli con il compito di pascolarli, ovvero abbia ricevuto in conduzione un qualche indumento per lavarlo o rammendarlo, egli è tenuto per colpa e colpa sono gli erroriche egli ha commesso per imperizia: perché sicuramente, affermava Celso, egli ha concluso il contratto di locazione in qualità d’esperto (nei relativi settori).
D.19,2,30,2 (Alfenus, 3 digestorum a Paulo epitomatorum): Qui mulas ad certum pondus oneris locaret, cum maiore onere conductor eas rupisset consulebat de actione. respondit vel ex lege Aquilia vel ex locato recte eum agere,sed lege Aquilia tamen tantum cum eo agi posse, qui tum mulas agitasset, ex locato etiam si alius ea rupisset, cum conductore recte agi.
Una persona che dato in locazione delle mule con un limite di carico, avendole il conduttore fiaccate sovracaricandole con un peso maggiore, chiedeva quale azione potesse esperire. Alfeno rispose che egli poteve correttamente esercitare o l’azione della legge Aquilia o l’azione contrattuale (di locazione), ma chee sulla base della legge Aquilia si poteva agire solo nei confronti di colui che si occupava delle mule nel momentodell’accaduto, mentre con l’azione contrattuale (di locazione) si sarebbe potuto agire nei confronti del conduttore, anche se fosse stato un altro a danneggiare le mule.
D.19,2,13,1-2 e 5-6 (Ulpianus, 32 ad edictum): Si navicularius ous Minturnas vehendum conduxerit et, cum flumen Minturnense navis ea subire non posset, in aliam navem merces transtulerit eaque navis in ostio fluminis perierit, tenetur primus navicularius? Labeo si culpa caret, non teneri ait: ceterum si, vel invito domino fecit vel quo non debuit tempore, aut si minus idoneae navi, tunc ex locato agendum. (2) Si magister navis sine gubernatione in flumen navem immiserit et tempestate orta temperare non potuerit et navem perdiderit, vectores habebunt adversus eum ex locato actionem. (5) Si gemma includenda aut insculpenda data sit eaque fracta sit, si quidem vitio materiae factum sit, non erit ex locato actio, si imperitia facientis, erit, huic sententiae addendum est, nisi periculum quoque in se artifex receperat: tunc enim etsi vitio materiae id evenit, erit ex locato actio. (6) Si fullo vestimenta polienda acceperit eaque mures roserint, ex locato tenetur, quia debuit ab hac re cavere, et si pallium fullo permutaverit et alii alterius dederit, ex locato actione tenebitur. etiamsi ignarus fecerit.
Se un armatore ha appaltato (“conduxerit”) il trasporto di un carico a Minturno e, non potendo la sua nave entrare nel fiume Minturnense, egli trasferì il carico di mercisu un altra e questa naufragò all’imbocco del fiume, è tenuto il primo armatore? Labeone afferma che egli non è responsabile, se sia esente da colpa; ma se lo fece contro la volontà del proprietario delle merci, o in un momento in cui non avrebbe dovuto farlo , oppure, ancora, si servì di una nave inadatta (a trasportare quelle merci o a navigare in fiume), allora si dovrà agire nei suoi confronti con l’azione di locazione. (2) Se il capitano di un nave ha fatto navigare una nave in un fiume senza un timoniere (competente) e costui , nata una tempesta, non ha potuto governarla e l’ha fatta naufragare, i passeggeri avranno nei suoi confronti l’azione di locazione. (5) Se è stata consegnata una pietra preziosa perchè fosse incastonata o tagliata e questa si è frantumata, non vi sarà l’azione di locazione se ciò è accaduto per difetto della materia, mentre si esperirà l’azione se c’è stata l’imperizia dell’artigiano. A questa decisione si deve aggiungere che quanto detto vale se l’artigiano non si è assunto contrattualmente il rischio del perimento della cosa (“periculum”) , in questo caso, infatti, sarà esperibile l’azione di locazione anche se la rottura della pietra è avvenuta per difetto della materia. (6) Se un lavandaio ha ricevuto in degli abiti da pulire e i topoli hanno rosicchiati è tenuto con l’azione di locazione, perché doveva premunirsi contro questa evenienza. E se il lavandaio ha scambiato un mantello e ha consegnato ad un cliente quello appartenente ad un altro, sarà tenuto con l’azione di locazione, anche lo abia fatto inconsapevolmente.
Societas (società)
Gai inst., III,149: Magna autem quaestio fuit.an ita coiri possit societas, ut quis maiorem partem lucretur, minorem damni praestet. Quod Q.Mucius contra naturam societatis esse existimavit. Sed Ser. Sulpicius, cuius etiam praevalit sententia, adeo ita coiri posse societatem existimavit, ut dixerit illo quoque modo coiri posse, ut quis nihil omnino damni praestet, sed lucrum partem capiat, si modo opera eius tam pretiosa videatur, ut aequum sit cum hac pactione in societatem admitti. nam et ita posse coiri societatem constat, ut unus pecuniam conferat, alter non conferat, et tamen lucrum inter eos commune sit; saepe enim opera alicuius pro pecunia valet.
Una grande discussione nacque sul fatto se potesse costitursi una società in cui un socio riceva una quota maggiore di utili e ne sopporti una minore di perdite. Quinto Mucio ha ritenuto questo contrario alla natura della società. Ma Servio Sulpicio, la cui opinione prevalse, era così certo che potesse formarsi una siffatta società, da arrivare a dire che si poteva costituire una società in cui un socio non sopportava alcun danno, ma partecipava agli utili, se fosse sembrata talmente preziosa la sua opera da rendere equa la sua ammissione alla società con questo patto. Infatti è certo che la società si può costituire anche in modo che un socio conferisca del capitale, e un altro no, e comunque gli utili siano fra loro comuni; spesso infatti il conferimento d’opera di un socio è equiparabile al conferimento di capitale.
D.17,29,1 (Ulpianus, 30 ad Sabinum): Ita coiri societatem posse, ut nullam partem damni alter sentiat, lucrum vero commune sit, Cassius putat: quod ita demum valebit, ut et Sabinus scribit, si tanti sit opera, quanti damnum est: plerumque enim tanta est industria socii, ut plus societati conferat quam pecunia, item si solus naviget, si solus peregrinetur, pericula subeat solus.
Cassio ritiene che possa costituirsi una società in cui uno dei due soci non sopporti alcuna perdita, mentre gli utili siano comuni; un tale accordo sarà valido, come anche Sabino scrive, se vi sia un tale conferimento d’opera, pari alle perdite subite; spesso infatti le capacità personali e professionali (“industria”) del socio sono tali da essere più necessarie allo scopo sociale del conferimento di capitale, come quando il socio compia viaggi da solo per mare o per terra, o da solo affronti i pericoli.
D.17,2,52,1-2 (Ulpianus 31 ad edictum): (1) Venit autem in hoc iudicium pro socio bona fides. (2) Utrum ergo tantum dolum an etiam culpam praestare oporteat, quaeritur. et Celsus libro septimo digestorum ita scripsit: socios inter se dolum et culpam praestare oportet. si in coeunda societate, inquit, artem operamve pollicitus est alter, veluti cum pecus in commune pascendum aut agrum politori damus in commmune quaerendis fructibus, nimirum ibi etiam culpa praestanda est: pretium enim operae artis est velamentum. quod rei communi socius nocuit, magis admittit culpam quoque venire.
(1) In questo giudizio di società assume rilevanza la buona fede. (2) Ci si chiede se il socio debba rispondere soltanto per dolo o anche per colpa. E Celso nel settimo libro dei Digesta così scrive: i soci debbono rispondere fra loro per dolo e per colpa. Se nel formare una società, dice Celso, uno dei soci ha promesso la propria opera e tecnica, come quando si deve pascolare il bestiame in comune, o quando affidiamo un fondo ad un agricoltore specializzato perché provveda alla raccolta dei frutti in comune, certamente in questo caso si deve rispondere per colpa: infatti l’opera e la tecnica equivalgono al conferimento del capitale. Se un socio ha recato danno al patrimonio comune, tanto più deve rispondere per colpa.
D.17,2,72 (Gaius 2 cottidianarum rerum): Socius socio etiam culpae nomine tenetur, id est desidiae atque neglegentiae. Culpa autem non ad exactissimam diligentiam dirigenda est: sufficit etenim talem diligentiam communibus rebus adhibere, qualem suis rebus adhibere solet, quia qui parum diligentem sibi socium adquirit, de se queri debet.
Un socio è tenuto nei confronti degli altri soci anche a titolo di colpa, cioè per inerzia e negligenza. La colpa tuttavia non va determinata con riferimento ad una diligenza esattissima; basta infatti che sia impiegato negli affari sociali quel grado di diligenza che uno suole impiegare nelle sue, poiché chi si procura un socio poco diligente deve lagnarsi di sé medesimo.
Mandatum (mandato)
D.17,1,1pr.-4 (Paulus, 32 ad edictum): Obligatio mandati consensu contrahentium consistit. (1) Item per nuntium quoque vel per epistulam mandatum suscipi potest. (2) Item sive ‘rogo’ sive ‘volo’ sive ‘mando’ sive alio quocumque verbo scripserit, mandati actio est. (3) Item mandatum et diem differri et sub condicione contrahi potest. (4) Mandatum nisi gratuitum nullum est: nam originem ex officio atque amicitia trahit, contrarium ergo est officio merces: interveniente enim pecunia res ad locationem et conductionem potius respicit.
L’obbligazione che nasce dal contratto di mandato si perfeziona col consenso. (1) E può essere assunta anche per nuncius o per lettera. (2) Vi è azione di mandato sia che (nel contratto) vi sia scritto “prego”, “voglio”, “incarico” o qualunque altra parola. (3) Analogamente il mandato può essere sottoposto a termine o condizione. (4) Il mandato se non è gratuito è nullo: infatti esso trova la sua origine nell’amicizia e nei doveri di solidarietà sociale a cui il pagamento di un salario risulta contrario; con l’intervento infatti di un salario il negozio diventa piuttosto una locazione-conduzione.
Iust. inst.3,26,8 e 11: Is qui exsequitur mandatum non debet excedere fines mandati. ut ecce si quis usque ad centum aureos mandaverit tibi, ut fundum emeres vel ecce si quis usque ad centum aureos mandaverit tibi, ut fundum emeres vel ut pro Titio sponderes, neque pluris emere debes neque in ampliorem pecuniam fideiubere, alioquin non habebis cum eo mandati actionem: adeo quidem, ut Sabino et Cassio placuerit, etiam si usque ad centum aureos cum eo agere velis, inuliter te acturum: diversae scholae auctores recte te usque ad centum aureos acturum existimant: quae sententia sane benignior est. quod si minoris emeris, habebis scilicet cum eo actionem, quoniam qui mandat, ut sibi centum aureorum fundus emeretur, is utique mandasse intellegitur, ut minoris si posset emeretur. (11) mandatum non suscipere liberum est: susceptum aut consummandum aut quam primum renuntiandum est, ut aut per semet isum aut per alium eandem rem mandator exsequatur (...).
Il mandatario non deve eccedere i limiti del mandato. Cosicché se il mandante ti abbia incaricato di comprare un fondo o di garantire per Tizio fino alla somma di cento aurei, non devi acquistare a prezzo superiore, né garantire una fideiussione per una maggior cifra, in caso contrarionon disporrari contro il mandante dell’azione di mandato: al punto che Sabino e Cassio ritenevano che tu (mandatario) anche se volessi agire nei confronti del mandante per non oltre cento aurei, agiresti inutilmente, invece gli autori della opposta scuola erano del parere che tu potessi agire validamente per non oltre cento aurei, la cui opinione appare maggiormente liberale. Poiché se tu avrai comprato a meno, disporrai certamente dell’azione nei confronti del mandante, perchè chi da mandato di comprare un fondo per cento aurei, s’intende certo aver dato mandato, se possibile, per meno.(11) Un mandato si è liberi di non assumerlo. ma, una volta assunto, bisogna eseguirlo o rinunziarvi al più presto, in modo che il mandante possa condurre a termine l’affare o di persona o tramite un altro.
Contratti innominati
D.2,14,7pr.-2 (Ulpianus, 4 ad edictum): Iuris gentium conventiones quaedam actiones pariunt, quaedam exceptiones. (1) Quae pariunt actiones, in suo nomine non stant, sed transeunt in proprium nomen contractus: ut emptio venditio, locatio conductio, societas, commodatum, depositum et ceteri similes contractus. (2) Sed et si in alium contractum res non transeat, subsit tamne causa, eleganter Aristo Celso rspondit esse obligationem. Ut puta dedi tibi rem ut mihi aliam dares, dedi ut aliquid facias: hoc sunállagm esse et hinc nasci civilem obligationem. Et ideo puto recte Iulianum a Mauriciano reprehensum in hoc: dedi tibi Stichum, ut Pamphilum manumittas: manumisisti: evictus est Stichus. Iliuanus scribit in factum actionem a praetore dandam: ille ait civilem incerti actionem, id est praescriptis verbis, sufficere: esse enim contractum, quod Aristo sunállagma dicit, unde haec nascitur actio.
Nel diritto delle genti per la tutela di talune convenzioni sorgono azioni, per altre eccezioni. (1) Quelle che producono azioni non conservano il nome generale (di convenzioni), ma acquistano il nome specifico di un contratto, come compravendita, locazione-conduzione, società, comodato, e deposito e tutti gli altri simili contratti. (2) Ma anche se la convenzione non assume il nome specifico di un contratto, tuttavia permane la causa dell’obbligazione, e giustamente Aristone, in risposta a Celso, afferma l’esistenza di un’obbligazione. Come se io ti ho dato una cosa affinché tu me ne dessi un’altra, o ti dirdi qualcosa affinchè tu ne facessi un’altra: qui si tratta di sinallagma e da qui sorge un’obbligazione civile. E pertanto penso che giustamente Mauriciano abbia dissentito da Giuliano in questo caso: io ti ho dato lo schiavo Stico perché tu manometta lo schiavo Panfilo, e tu l’hai manomesso, mentre Stico viene evitto. Giuliano scrive che il pretore deve concedere in tuo favore un’azione in factum, Mauriciano invece ritiene sufficiente l’azione civile incerti, cioè l’azione praescriptis verbis; infatti ciò che Aristone definisce sinallagma è un contratto, da cui nasce tale azione.
D.19,5,17,3 (Ulpianus, 28 ad edictum): Si cum unum bovem haberem et vicinus unum, placuerit inter nos, ut per denos dies ego ei et illi mihi bovem commodaremus, ut opus faceret, et apud alterum bos periit, commodati non competit actio, quia non fuit gratuitum commodatum. verum praescriptis verbis agendum est.
Avendo io un bue e il mio vicino un altro, ci eravamo accordati di darci in comodato reciprocamente gli animali per un tempo di dieci giorni per svolgere delle attività (nei rispettivi fondi); il mio bue è morto quando era a disposizione del vicino: in questo caso non compete un’azione di comodato perché non si trattò di comodato (gratuito), ma si dovrà agire con un’azione praescriptis verbis.
D.19,5,13 pr. (Ulpianus, 30 ad Sabinum): Si tibi rem vendendam certo pretio dedissem, ut, quo pluris vendidisses, tibi haberes, placet neque mandati neque pro socio esse actionem, sed in factum quasi alio negotio gesto, quia et mandata gratuita esse debent, et societas non videtur contracta in eo, qui te non admisit socium distractionis, sed sibi certum pretium excepit.
Se io ti ho consegnato una cosa affinché tu la vendessi ad un prezzo determinato con l’accordo che fosse tuo quanto tu fossi riuscito a ricavare in più (rispetto a quel prezzo), si è stabilito che non c’è né l’azione di mandato né quella di società, ma si deve agire in factum come se si fosse posto in essere un altro genere di negozio, poiché il mandato deve essere gratuito e non sembra essersi contratta una società nei confronti di chi non ha ammesso te come socio nella vendita, ma ha riservato per sé un prezzo determinato.
Pacta (Patti)
D.2,14,7,7 (Ulpianus, 4 ad edictum): Ait praetor: pacta conventa, quae neque dolo malo, neque adversus leges plebis scita senatus consulta decreta edicta principum, neque quo fraus cui eorum fiat, facta erunt, servabo.
Dice il pretore: tutelerò i patti convenuti che saranno conclusi senza dolo, né contro o in frode a leggi, plebisciti, senatoconsulti, decreti e editti dei principi.
D.2,14,1,2 (Ulpianus, 4 ad edictum): Et est pactio duorum pluriumve in idem placitum et consensus.
Il patto è il consenso di due o più parti sul medesimo contenuto da essi accettato.
D.2,14,7,4 (Ulpianus, 4 ad edictum): Sed cum nulla subest causa propter conventionem hic constat non posse constitui obligationem; igitur nuda pactio obligationem non parit, sed parit exceptionem.
E quando manca la causa, appare chiaro che non può essere costituita un’obbligazione per mezzo di convenzione. Dunque dal nudo patto non nasce azione, ma eccezione.
C.I.,2,3,20 (Impp.Diocletianus et Maximianus AA, et CC. Martiali): Traditionibus et usucapionibus domina rerum, non nudis pactis transferuntur.
La proprietà delle cose si acquista mediante l’atto di consegna e l’usucapione, e non si trasmette con il nudo patto.
Lex Aquilia de damno (Legge Aquilia sul danneggiamento [ingiusto])
Iust. inst., IV,3,pr., 2-3, 9-10, 13 e 16: Damni iniuriae actio constituitur per legem Aquiliam, cuius primo capite cautum est, ut si quis hominem alienum alienamve quadrupedem quae pecudum numero sit iniuria occiderit, quanti ea res in eo anni plurimi fuerit, tantum domino dare damnetur. (2) Iniuria autem occidere intellegitur, qui nullo iure occidit. itaque qui latronem occidit, non tenetur, utique si aliter periculum effugere non potest. (3) Ac ne is quidem hac lege tenetur, qui casu occidit, si modo culpa eius nulla invenitur; nam alioquin non minus ex dolo quam ex culpa quisque hac lege tenetur. (9) His autem verbis legis ‘quanti id in eo anno plurimi fuerit’ illa sententia exprimitur, ut si quis hominem tuum, qui hodie claudus aut luscus aut mancus erit, occiderit, qui in eo anno integer aut pretiosus fuerit, non tanti teneatur, quanti is hodie erit, sed quanti in eo anno plurimi fuerit. qua ratione creditum est poenalem esse hiuis legis actionem, quia non solum tanti quisque obligatur, quantum damni dederit, sed aliquando longe pluris: ideoque constat in heredem eam actionem non transire, qaue transitura fuisset, si ultra damnum numquam lis aestimaretur. (10) Illud non ex verbis legis, sed ex interpretatione placuit non solum perempti corporis aestimationem habendam essesecundum ea quae diximus, sed eo amplius quidquid praetera permpto eo corpore damni vobis adlatum fuerit, veluti si servum tuum heredem ab aliquo institutum ante quis occiderit, quam is iussu tuo adiret: nam hereditatis quoque amissae rationem esse habendam constat. item si ex pari mularum unam vel ex quadriga equorum unum occiderit, vel ex comoedis unus servus fuerit occisus: non solum occisi fit aestimatio, sed eo amplius id quoque computatur, quanto depretiati sunt qui supersunt. (13) Capite tertio de omni cetero damno cavetur. (...) in ceteris quoque omnibus animalibus, item in omnibus rebus quae anima carent damnum iniuria datum hac parte vindicatur.si quid enim ustum aut ruptum aut fractum fuerit, actio ex hoc capite constituitur (...). (16): Ceterum placuit ita demum ex hac lege actionem esse, si quis praecipue corpore suo damnum dederit. ideoque in eum, qui alio modo damnum dederit, utiles actiones dari solent: veluti si quis hominem alienum aut pecus ita incluserit, ut fame necaretur, aut iumentum tam vehementer egerit, ut rumperetur, aut pecus in tantum exagitaverit, ut praecipitaretur, aut si quis alieno servo persuaserit, ut in arborem ascenderet vel in puteum descenderet, et is ascendendo vel descendendo aut mortuus fuerit aut aliqua parte crporis laesus erit, utilis in eum actio datur. sed si quis alienum servum, eo quod proiecerit corpore suo damnum dedisse non difficiliter intellegi poterit ideoque ipsa lege Aquilia tenetur. sed si non corpore damnum fuerit datum neque corpus laesum fuerit, sed alio modo damnum alicui contigit, cum non sufficit neque directa neque utilis Aquilia, placuit eum qui obnoxius fuerit in factum actione teneri: veluti si quis misericordia ductus alienum servum compeditum solverit, ut fugeret.
L’azione per il danno ingiusto è stabilita dalla Legge Aquilia. Nel cui primo capo si dispone che se uno abbia ucciso ingiustamente un servo o un capo di bestiame altrui, va condannato a consegnare al proprietario il maggior valore di quella cosa in quell’anno. (2) Si ritiene che uccida ingiustamente chi uccida senza esercitare alcun diritto. E così chi uccide un ladrone non ne risponde, ovviamente se non può in altro modo sfuggire al pericolo. (3) Non è tenuto in base a questa legge neppure colui che uccide determinato dal caso, purché non risulti in lui alcun atteggiamento colposo, senza dubbio, infatti, chiunque risponde in base a questa legge non solo e non tanto per dolo, quanto per colpa. (9) Con le parole della legge “il maggior valore che la cosa ha avuto in quell’anno”si esprime il principio che se uno abbia ucciso il tuo schiavo che oggi è zoppo oppure menomato nella vista o negli arti, mentre in quell’anno era stato integro o di maggior pregio, sia tenuto a corrispondere non il suo attuale valore [al momento della uccisione], bensì il maggior valore avuto in quell’anno. Perciò si è considerato tale azione di natura penale, dato che uno è tenuto non solo per l’ammontare dell’effettivo danno recato in quel momento, ma talvolta per un valore assai superiore: onde è certo non si trasmette nei confronti dell’erede, cosa che si sarebbe verificata se il valore della lite non venisse mai stimato oltre il danno arrecato. (10) Non fondandosi sulla lettera della legge, ma per effetto della sua interpretazione, si è ritenuto che si debba operare la stima, seguendo il criterio detto [cfr. supra § 9], non solo del corpo ucciso, ma ulteriormente di ogni danno sia derivato dall’uccisione di quel corpo, come per esempio, se taluno abbia ucciso il tuo servo istituito erede, prima che questi potesse accettare su tuo ordine: è infatti evidente che bisogna stimare anche l’eredità perduta. Similmente se sarà uccisa di una coppia di mule una, o di una quadriga di cavalli uno, o se sarà ucciso di una compagnia (teatrale o circense) di comici uno: si opera la stima non solo dell’ucciso, ma in più si calcola il deprezzamento del valore di quelli che rimangono. (13) Nel terzo capo si provvede per ogni altro danno. E così se uno abbia ferito uno schiavo o un quadrupede che rientri nel novero del bestiame, o abbia ferito o ucciso un quadrupede che invece non vi rientri, come un cane o un animale feroce, l’azione viene concessa in base a questo capo. (16) Si ritenne che in base a detta legge sorgesse azione solo a tutela del danno arrecato principalmente con il contatto fisico. Di conseguenza, nei confronti di colui che abbia causato il danno in modo differente si suole concedere della azioni utili. Per esempio, se uno avesse segregato in luogo chiuso uno schiavo o un animale altrui affinché morisse di fame, o avesse così violentemente incalzato un giumento da farlo stramazzare, o avesse aizzato a tal punto una bestia da farla precipitare, o se avesse indotto uno schiavo altrui a salire su un albero o a calarsi in un pozzo, e quello, nella salita o nella discesa, fosse morto o si fosse ferito in qualche parte del corpo, si concede contro di lui un’azione utile. Ma se uno avesse gettato uno schiavo altrui giù da un ponte o da un argine nel fiume, facendolo annegare, non sarà cosa difficile poter capire che, in quanto l’aveva buttato giù gli aveva causato danno mediante il contatto fisico, perciò egli risponde direttamente in base alla legge Aquilia. se, invece, il danno non sia stato arrecato con il contatto fisico, né vi sia stata un corpo lesionato, ma uno abbia ricevuto un danno in altro modo, poiché in tal frangente non risulta sufficiente né l’azione diretta derivante dalla Aquilia, né l’azione utile, si è ritenuto che l’autore del danno debba rispondere i base ad un’azione in factum, come nel caso di chi , mosso a pietà, abbia liberato il servo altrui messo in catene, perché fuggisse.
D.9,2,31 (Paul 10 ad Sabinum): Si putator ex arbore ramum cum deiceret vel machinarius hominem praetereuntem occidit, ita tenetur, si is in publicum decidat nec ille proclamavit, ut casus eius evitari possit. sed Mucius etiam dixit, si in privato idem accidisset, posse de culpa agi: culpam autem esse, quod cum a diligente provideri poterit, non esset provisum, aut tum denuntiatum esse, cum periculum evitari non possit, sedcundum quam rationem non multum refert, per publicum an per privatum iter fieret, cum plerumque per privata loca vulgo iter fieret, quod si nullum iter erit, dolum dumtaxat praestare debet, neimmittat in eum, quem videri transeuntem: nam culpa ab eo exigenda non est, cum divinare non potuerit, an per eum locum aliquis transiturus sit
Se un potatore lasciando cadere un ramo dall’albero, o l’operaio che lavorava sopra un impalcatura abbia ucciso uno schiavo che passava di lì, è tenuto nel caso che abbia gettato la cosa in luogo pubblico e non abbia apreavvertito apiena voce affinché fosse possibile evitare quanto cadeva. Ma Mucio affermò che che si può agire in giudizio per la responsabilità per colpa, anche se lo stesso evento si sia verificato in un luogo privato: perché la colpa consiste nel fatto che non si sia previsto quanto una persona diligente era in grado di prevedere, oppure nel caso che si abbia avvisatoquando non era oramai più possibile evitare il pericolo. In virtù di questo principio non ha molta importanza che il passante transitasse in luogo pubblico o in luogo privato, in quanto è assai frequente che vi sia transito anche in luoghi privati. Se invece nel luogo di cui si tratta non si verificava alcun passaggio, egli risponderà unicamente di dolo,cioè che non deve lanciare cose addosso ad un passante vedendolo in transito: non si può infatti considerarlo responsabile per colpa, in quanto egli non poteva indovinare che qualcuno fosse sarebbe passato di lì.
D.9,2,30,3 (Paulus, 22 ad edictum): In hac quoque actione, quae ex hoc capitulo oritur, dolus et culpa punitur: ideoque si quis in stipulam suam vel spinam comburendae eius causa ignem immiserit et ulterius evagatus et progressus ignis alienam segetem vel vineam laeserit, requiramus, num imperitia eius aut neglegentia id accidit. Nam si die ventoso id fecit, culpae reus est (nam et qui occasionem praestat, damnum fecisse videtur): in eodem crimine est et qui non observavit, ne ignis longius procederet. At si omnia quae oportuit observavit vel subita vis venti longius ignem produxit, caret culpa.
In questa azione che nasce da questo capitolo [della legge Aquilia: il terzo], si sanziona il comportamento doloso e colposo; pertanto, se taluno diede fuoco a della stoppia e a degli arbusti per eliminarli e il fuoco si propagò ulteriormente rovinando gli altrui campi e vigne, ci chiediamo se ciò sia avvenuto per imperizia o negligenza. Infatti, se ciò fu fatto in un giorno di vento, c’è colpa dell’autore (in quanto anche chi crea l’occasione per il vericarsi di un danno sembra aver cagionato danno). Nel medesimo illecito incorre anche colui che non provvide a far si che il fuoco non si propagasse. Ma se furono osservate tutte le regole necessarie (di correttezza e prudenza), e il fuoco si propagò per un’improvvisa violenza del vento, allora non si rinviene colpa.
D.9,2,7,8 (Ulpianus 18 ad edictum): Proculus ait, si medicus servum imperite secuerit, vel ex locato vel ex lege Aquilia competere actionem.
Proculo dice che qualora un medico abbia eseguito con imperizia un’operazione chirurgica su di un servo, nei suoi confronti spetta l’azione 8contrattuale di locazione o l’azione che discende dalla legge Aquilia.
D.9,2,8 (Gaius, 7 ad edictum provinciale): Idem iuris est, si medicamentum perperam usus fuerit, sed qui bene secuerit et dereliquit curationem, securus non erit, sed culpae reus intellegitur. (1) Mulionem quoque, si per imperitiam impetum mularum retinere non potuerit, si eae alienum hominem obtriverint, volgo dicitur culpae nomine teneri. idem dicitur et si propter infirmitatem sustinere mularum impetum non potuerit: nec videtur iniquum, si infirmitas culpae adnumeretur, cum affectare quisque non debeat, in quo vel intellegit, vel intellegere debet infirmitatem suam alii periculosam futuram, idem iuris est in personam eius., qui impetum equi, quo vehebatur, propter imperitiam vel infirmitatem retinere non poterit.
La medesima regola giuridica vale nel caso in cui (un medico) abbia usato male un medicamento. E non risulterà indenne neppure il medico che, pur avendo operato correttamente, abbia poi trascurato l’attività di cura successiva alla operazione, ma sarà considerato in colpa. (1) Anche del mulattiere si afferma comunemente che è responsabile per colpa se per imperizia non abbia potuto governare lo slancio delle mule, facendole così schiacciare uno schiavo altrui. La stessa cosa si dice se non è riuscito a trattenerlo slancio delle mule a causa della propria infermità: infatti non sembra ingiusto ascrivere a colpa l’infermità, poiché nessuno deve intraprendere un’attività nella quale sa o deve sapere che la sua infermità risulterà pericolosa per gli altri, La medesima regola vale nei confronti di chi per imperizia o per infermità non abbia potuto trattenere l’impeto del cavallo su cui viaggiava.
D.9,2,5,3 (Ulpianus, 18 ad edictum) : Si magister in disciplina vulneraverit servum vel occiderit, an Aquilia teneatur quasi damnum iniuria dederit? Et Iulianus scribit Aquilia teneri eum, qui eluscaverat discipulum in disciplina. Multo magis igitur in occiso idem erit dicendum. Proponitur autem apud eum species talis: sutor, inquit, puero discenti ingenuo filio familias, parum bene facienti quod demonstraverit, forma calcei cervicem percussit, ut oculus puero perfunderetur. Dicit igitur Iulianus iniuriarium quidem actionem non competere, quia non faciendae iniuriae causa percusserit, sed monendi et docendi gratia: an ex locato dubitat, quia levis castigatio concessa est docenti. Sed lege Aquilia agi posse non dubito.
Se un maestro (di bottega) avrà ferito o ucciso un servo mentre lo impratichiva nell’arte el mestiere, è tenuto in base alla legge Aquilia, come se avesse causato un danno ingiusto? E Giuliano scrive che è tenuto in base alla legge Aquilia chi cavò un occhio al apprendista mentre gli impartiva l’arte del mestiere. E Giuliano propone il seguente caso: un calzolaio colpì con la forma della scarpa il capo di suo apprendista, ingenuo e filio di famiglia, per dimostrargli che stava lavorando male, in modo da accecarlo da un occhio. Dice Giuliano che l’azione di ingiurie non può essere esperita, poiché il calzolaio non agì per recare offesa, ma allo scopo di ammonimento ed educativo, si dubita della esperibilità dell’azione di locazione, in quanto è ammesso che il docente possa infliggere punizioni di lieve entità. Ma non dubito che si possa agire con l’azione della legge Aquilia.
Furtum (furto)
1) Gai.inst, III,195: Furtum autem fit non solum cum quis intercipiendi causa rem alienam amovet, sed generaliter cum quis alienam invito domino contrectat.
Furto si ha non solo quando taluno rimuove la cosa altrui per sottrarla, ma in generale ogni volta che taluno si appropria della cosa altrui contro la volontà del proprietario
2) Iust.inst.,IV,1,1: Furtum est contrectatio rei fraudolosa vel ipsius rei vel etiam usus eius possessionisve, quod lege naturali prohibitum est admittere.
Il furto consiste nella fraudolenta appropriazione di una cosa - sia della cosa stessa, sia anche del suo uso o possesso - che per diritto naturale è proibito commettere.
3) Gai.inst., III, 203-207: Furti autem actio ei conpetit. cuius interest rem salvam esse, licet dominus non sit. Itaque nec domino aliter conpetit, quam si eius intersit rem non perire. (204) Unde constat creditorem de pignore subrepto furti agere posse, adeo quidem, ut quamvis ipse dominus, id est ipse debitor, eam rem subripuerit, nihilo minus creditori conpetat actio furti. (205) Item si fullo polienda curandave aut sarcinator sarcienda vestimenta mercede certa acceperit eaque furto amiserit, ipse furti habet actionem, non dominus, quia domini nihil interest ea non periisse, cum iudicio locati a fullone aut sarcinatore suum consequi possit, si modo is fullo aut sarcinator rei praestandae sufficiat; nam si solvendo non est, tunc quia ab eo dominus suum consequi non potest, ipsi furti actio conpetit, quia hoc casu ipsius interest rem salvam, esse. (206) Quae de fullone aut sarcinatore diximus, eadem transferemus et eum cui rem commodavimus. Nam ut illi mercedem capiendo custodiam praestant, ita hic quoque utendi commodum percipiendo similiter necesse habet custodiam praestare. (207) Sed is apud quem res deposita est custodiam non praestat tantumque in eo obnoxius est, si quid ipse dolo malo fecerit. Qua de causa si res ei subrepta fuerit, quia restituendae eius nomine depositi non tenetur nec ob id eius interest rem salvam esse, furti agere non potest, sed ea actio domino conpetit.
L’azione di furto spetta a chi abbia interesse all’incolumità della cosa, benché non sia proprietario. Quindi, anche allo stesso proprietario non spetta se non quando egli abbia interesse al non perimento della cosa. (204) Perciò è sicuro che il creditore può agire con l’azione di furto per la sottrazione del pegno; al punto che anche se la cosa sia stata sottratta dallo stesso proprietario - quindi dal debitore - comunque il creditore ha l’azione di furto. (205) Così, se il lavandaio per pulirli e curarli, o il sarto per rammendarli, abbia ricevuto dei vestiti, dietro la corrisponsione di un preciso compenso, e li abbia perduti a causa di un furto a lui compete l’azione di furto e non al proprietario, in quanto al proprietario non interessa per nulla che i vestiti siano periti, poiché può ottenere quanto gli spetta con l’azione di locazione dal lavandaio o dal sarto, purché quel lavandaio o quel sarto sia solvibile in rapporto al valore della cosa; infatti nel caso che non lo sia, poiché allora il proprietario è impossibilitato ad ottenere quanto gli spetta da lui, è allo stesso proprietario che spetta l’azione di furto, in quanto in tal caso risulta di suo proprio interesse che la cosa risulti incolume. (206) Quanto abbiamo detto riguardo al lavandaio e al sarto, lo possiamo riferire anche al comodatario. Come infatti il lavandaio e il sarto, ricevendo un compenso, rispondono per custodia, così anche il comodatario, avendo il vantaggio dell’uso della cosa, deve similmente rispondere per custodia. (207) Ma il depositario non risponde per custodia, e la sua responsabilità è circoscritta al dolo. Perciò se gli è stata sottratta la cosa, poiché per la causa del deposito non è tenuto alla restituzione e quindi non gli interessa l’incolumità della cosa, a lui non spetta l’azione di furto, che invece compete al proprietario.
ALTRE FONTI DELL’OBBLIGAZIONE (QUASI CONTRATTI E QUASI DELITTI)
Negotiorum gestio (gestione d’affari [altrui])
1) D.3,5,9 (10),1 (Ulpianus, 10 ad edictum): Is autem qui negotiorum gestorum agit non solum si effectum habuit negotium quod gessit, actione ista utetur, sed sufficit, si utiliter gessit, etsi effectum non habuit negotium. et ideo si insulam fulsit vel servum aegrum curavit, etiamsi insula exusta est vel servus obiit, aget negotiorum gestorum: idque et Labeo probat, ut Celsus refert, Proculus apud eum notat non sempre debere dari. quid enim si eam insulam fulsit, quam dominus quasi impar sumptui dereliquerit vel quam sibi necessariam non putavit? oneravit, inquit, dominum secundum Labeonis sententiam, cum unicuique liceat et damni infecti nomine rem derelinquere. sed istam sententiam Celsus eleganter deridet: is enim negotiorum gestorum, inquit, habet actionem, qui utiliter negotia gessit: non autem utiliter negotia gerit, qui rem non necessariam vel quae oneratura est patrem familias adgreditur (...).
Chi agisce per aver gerito affari altrui avrà a disposizione questa azione non soltanto se l’affare gerito abbia avuto esito positivo, ma anche se l’abbia soltanto gerito utilmente, non avendo poi avuto l’affare buon esito. E perciò se il gestore abbia rinforzato uno stabile (in pericolo di crollo), o curato uno schiavo malato agirà per gestione d’affari, benché lo stabile sia bruciato o lo schiavo morto, e questo lo pensa anche Labeone. Ma, come riferisce Celso, Proculo afferma, nelle sue note a Labeone, che non sempre il proprietario è costretto a rimborsare le spese al gestore. Che avviene, infatti, se il gestore rinforza uno stabile che che il proprietarioaveva abbandonato in quanto non meritevole di spesa, o perché ritenuto a lui non necessario? Secondo l’opinione di Labeone, come ci riferisce Proculo, il gestore farà gravare le spese sul proprietario, anche se è ancora lecito a chiunque abbandonare una cosa aanche a danno non ancora avenuto. Celso, invece, prende in giro ironicamente questa opinione: è legittimato ad agire per gestione d’affari altrui, afferma, colui che abbia gerito utilmente degli affari; ma questo presupposto non si verifica quando si intraprendono cose non necessarie o soltanto destinate a gravare sul proprietario (...).
Responsabilità dell’esercente di attività (commerciali)
1) Iust. inst., IV,5,3: Item exercitor navis aut cauponae aut stabuli de dolo aut furto, quod in nave aut in caupona aut in stabulo factum erit, quasi ex maleficio teneri videtur, si modo ipsius nullum est maleficium, sed alicuius eorum, quorum opera navem aut cauponam aut stabulum exerceret: cum enim neque ex contractu sit adversus eum constituta haec actio et aliquatenus cupae reus est, quod opera malorum hominum uteretur, ideo quasi ex maleficio teneri videtur. in his autem casibus in factum actio competit, quae heredi quidem datur, adversus heredem autem non competit.
Similmente, l’esercente di una nave, di un albergo o di uno stallaggio, sembra risultare responsabile quasi per delitto in relazione a frodi e a furti avvenuti nei predetti luoghi, purché non vi sia dolo suo, ma di taluno dei quali egli si serviva nella gestione della nave, dell’albergo o dello stallaggio; poiché questa azione non è data contro di lui neanche per contratto ed egli ha un certo grado di colpa per esssersi servito dell’opera di uomini disonesti [o inidonei], ne consegue che egli appare responsabile quasi per delitto. In questi casi compete un’azione in factum, che all’erede è concessa, ma che contro l’erede non spetta.
REGOLE DELL’INTERPRETAZIONE
1) D.1,3,17 (Celsus, 26 digestorum): Scire leges non hoc est verba earum tenere, sed vim ac potestatem.
Interpretare le leggi non significa capire meccanicamente le loro parole, ma comprenderne l’effettiva portata nel suo complesso.
2) D.1,3,24 (Celsus, 9 digestorum): Incivile est nisi tota lege perspecta una aliqua particula eius proposita iudicare vel respondere.
Non è conforme all’attività del giurista dare giudizi o responsi senza aver prima esaminato l’intera disposizione normativa e sulla base solo di una qualche sua piccola parte.
3) D.1,3,18 (Celsus, 29 digestorum): benignius leges interpretandae sunt, quo voluntas earum conservetur.
Le leggi devono essere interpretate nel modo più benigno per rispettarne la volontà.
4) D.50,17,56 (Gaius, 3 de legatis ad edictum urbicum): Semper in dubiis benigniora praeferenda sunt.
In caso di dubbio è sempre preferibile attenersi alla interpretazione più benigna.
5) D.1,3,19 (Celsus, 33 digestorum): In ambigua voce legis ea potius accipienda est significatio, quae vitio caret, praesertim cum etiam voluntas legis ex hoc colligi possit.
In un’ambigua formulazione legislativa, ci si deve attenere a quel significato che non presenta vizi, a maggior ragione quando si può conciliare con lo spirito della legge.
6) D.50,17,114 (Paulus, 9 ad edictum): In obscuris inspici solere, quod verisimilius est aut quod plerumque fieri solet.
Quando le cose non sono chiare, si è soliti attenersi a quanto è più verisimile e si verifica con maggior frequenza.
7) D.50,17,90 (Paulus, 15 quaestionum): In omnibus quidem, maxime tamen in iure aequitas spectanda est.
In tutte le cose, soprattutto però nell’esperienza giuridica, deve essere presa in considerazione l’equità.
8) D.50,16,219 (Papinianus, 2 responsorum): In conventionibus contrahentium voluntatem potius quam verba spectari placuit.
Nell’interpretare gli accordi contrattuali si deve ricercare maggiormente l’(effettiva) volontà delle parti piuttosto che limitarsi al dato formale delle parole.
9) D.50,17,34 (Ulpianus, 45 ad Sabinum): Semper in stipulationibus et in ceteris contractibus id sequimur, quod actum est: aut, si non pareat quid actum est, erit consequens, ut id sequamur, quod in regione in qua actum est frequentatur. quid ergo, si neque regionis mos appareat, quia varius fuit? ad id, quod minimum est, redigenda summa est.
Nelle stipulazioni e negli altri contratti dobbiamo sempre attenerci a ciò che fu fatto dalle parti (id quod actum est), ma se ciò non appare chiaro, converrà allora seguire gli usi contrattuali che si praticano nella regione dove è stato perfezionato il contratto. Ma se pure l’uso regionale non è univoco, in quanto suscettibile di diverse interpretazioni, allora bisogna rendere gli obblighi contrattuali il meno onerosi possibile.
10) D.45,1,38,8 (Ulpianus, 49 ad Sabinum): In stipulationibus cum quaeritur, quid actum sit, verba contra stipulatorem interpretanda sunt.
Nelle stipulazioni quando ci si interroga su quanto hanno fatto le parti, il contenuto verbale deve essere interpretato nel senso più sfavorevole allo stipulante.
11) D.50,17,172pr. (Paulus, 5 ad Plautium): In contrahenda venditione ambiguum pactum contra venditorem interpretandum est.
Nel contrarre una compravendita, un patto ambiguo deve essere interpretato nel senso più sfavorevole al venditore.
12) D.18,1,40,1 (Paulus, 4 epitomarum Alfeni digestorum): In lege fundi aquam accessuram dixit: quaerebatur, an etiam iter aquae accessisset. respondit sibi videri id actum esse, et ideo iter quoque venditorem tradere oportere.
In una clausola del contratto di vendita del fondo si era stabilito che fosse previsto anche il diritto di derivare acqua [da un fondo che rimaneva in proprietà del venditore]: si domandava se veniva compreso nel contratto di vendita anche il diritto per il compratore di passaggio per giungere alla fonte dell’acqua. Rispose che gli sembrava che questo fosse stata l’intenzione delle parti e che il diritto di passaggio doveva essere concesso dal venditore.
13) D.50,17,12 (Paulus, 3 ad Sabinum): In testamentis plenius voluntates testantium interpretamur.
Nel dare corso alle disposizioni testamentarie la volontà dei testatori deve essere osservata nella sua più piena integrità.
14) D.34,5,24 (25) (Marcellus, 11 digestorum): Cum in testamento ambigue aut etiam perperam scriptum est, benigne interpretari et secundum id, quod credibile est cogitatum, credendum est.
Quando una disposizione testamentaria è stata redatta in modo ambiguo o malamente, questa deve essere interpretata nel modo più favorevole (rispetto alla volontà del testatore) e secondo quanto risulta credibile essere stato il pensiero del testatore.
15) D.33,6,3,1 (Ulpianus, 23 ad Sabinum): Si vinum legatum sit, videamus, an cum vasis debeatur. Et Celsus inquit vino legato, etiamsi non sit legatum cum vasis, vasa quoque legat videri, non quia pars sunt vini vasa, quemadmodum emblemata argenti (seyphorum forte vel speculi), sed quia credibile est mentem testantis eam esse, ut voluerit accessioni esse vino amphoras mille: et sic, inquit, loquimur habere nos amphoras mille, ad mensuram vini referentes. In doliis non puto verum, ut vino legato et dolia debeantur, maxime si depressa in cella vinaria fuerint aut ea sunt, quae per magnitudinem difficile moventur. (...).
Se è stato disposto per legato del vino, vediamo se sono compresi nell’oggetto del legato anche i vasi che lo contengono. Celso dice che, legato il vino, anche se non sia stato legato con i vasi, sembrano rientrare nel legato anche questi, non perché i vasi facciano parte del vino, come gli emblemata [piccole lavorazioni ornamentali da applicare a oggetti più grandi] lo sono dell’argento, e forse di tazze e specchi, ma perché è credibile che l’intenzione del testatore sia stata quella di considerare le anfore come accessorio del vino; e così noi parliamo, per es., di avere mille anfore, riferendoci alla misura del vino. Non penso, invece, con riguardo alle botti che, dando in legato il vino, siano comprese nell’oggetto del legato anche le botti, specialmente se erano stato collocate in basso nelle cantine o per le loro grandi dimensioni erano difficili da trasportare.
16) D.18,1,77 (Iavolenus, 4 ex posterioribus Labeonis): in lege fundi vendundi lapicidinae in eo fundo ubique essent exceptae erant, et post multum temporis in eo fundo repetae erant lapicidinae. eas quoque venditoris esse Tubero respondit: Labeo referre quid actum sit: non appareat, non videri eas lapicidinas esse exceptas: neminem enim nec vendere nec excipere quod non sit, et lapicidinas nullas esse, nisi quae apparent et caedantur: aliter interpretantibus, totum fundum lapicidinarium fore, si forte toto eo sub terra esset lapis, hoc probo.
Nella clausola di vendita di un fondo erano state escluse dalla vendita le cave di pietre situate nel fondo “ovunque si trovassero”. Trascorso un bel po’di tempo, nuove cave furono trovate nello stesso fondo. Tuberone rispose che pure queste dovevano rimanere di proprietà del venditore. Labeone disse che ci si deve rapportare a quanto realmente stabilito dalle parti, e, nel caso che ciò non risulti chiaro, allora queste nuove cave di pietre non sono da escludere dalla vendita del fondo: infatti nessuno può vendere o escludere dalla vendita ciò che non esiste, e che quindi non esistono se non quelle cave che sono già state individuate e scavate; altrimenti interpretando, se l’intero sottosuolo fosse composto da pietra, tutto il fondo dovrebbe essere considerato come una cava di pietra. Approvo questo ragionamento.
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