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Esegesi di D.45,1,38,20
Xue Jun 1. il testo di D.45,1,38,20 2. Analisi preliminari del paragrafo
3. Il principio di “Alteri stipulari nemo potest” nel diritto romano
4. L’esegesi del paragrafo
4.1. analisi generale del passo D.45,1,38,20. 4.2. qualche conclusione dall’esegesi generale 4.3. esegesi contestuale del passo 4.4.il problema dell’interpolazione 4.5. l’importanza rilevante della soluzione
proposta da Marcello nel passo D.45,1,38,20.
5. La regola sullo “stipulari alteri” nell’età giustinianea
5.1. la conferma formale del principio “alteri stipulari nemo potest” nel diritto giustinianeo e le sue eccezioni
5.2. i cambiamenti degli espedienti per sfuggire
il principio “alteri stipulari nemo potest” nell’età giustinianea. 5.3. la conferma generale della validità
dell’ “stipulari alteri” qualora lo stipulante vi abbia un interesse. 6. L’influenza della soluzione giustinianea
sui codici moderni
6.1. lo sviluppo storico del principio “alteri stipulari nemo potest” nella età successiva 6.2. l’influenza delle dottrina romana sul
codice civile francese e italiano. 6.3. la soluzione nella dottrina Pandettistica. 6.4. lo sviluppo recente della giurisprudneza
nel tema del contratto a favore di terzo
in Francia e Italia e la tendenza dell’integrazione
della soluzione. 1. il testo di D.45,1,38,20 Il testo latino D.45,1,38,20 Ulpianus lib.49 ad Sabinum Si stipuler alli, cum mea interesset, videamus,
an stipulatio committetur. Et ait Marcellus
stipulationem valere in specie huiusmodi.
Is, qui pupilli tutelam administrare coeperat,
cessit administratione contutori suo et stipulatus
est rem pupilli salvam fore. Ait Marcellus posse defendi stipulationem
valere: interest enim stipulatoris fieri
quod stipulatus est, cum obligatus futurus
esset pupillo, si aliter res cesserit. La traduzione di Vignali: Se stipulo per un altro, mentre era interesse
mio, vediamo se s’incorre nella stipulazione?
E Marcello dice, che vale una stipulazione
in un caso di questa natura. Quegli, che
aveva cominciato ad amministrare la tutela
di un pupillo, abbandonò l’amministrazione
al suo contutore, e stipulò che la roba
sarebbe salva al pupillo. Marcello dice potersi
sostenere, che la stipulazione è valida;perchè vi è interesse dello stipulante,
che si faccia quello, che stipulò;mentre sarebbe per essere obbligato verso
del pupillo, se la cosa andata fosse altrimente. Questo paragrafo è collocato nel Digesto
libro quarantesimoquinto, titolo primo “delle
obbilgazioni verbali”. 2. Analisi preliminari del paragrafo
L’autore di questo paragrafo è Ulpiano.
Egli visse nel periodo dei Severi, fu un
giurista di grande fama nella storia della
giurisprudenza romana, autore di molte opere
giuridiche, fra le quali, le due più complete
furono gli 81 libri “ad edictum” e i 51 libri “ad Sabinum”. Ulpiano, come un altro giureconsulto
severinano, Paolo, dimostrò di possedere
il caratere del compilatore perseguendo la
completezza nelle sue opere[1]. In fatti, le sue opere sono le più sfruttate
nella compilazione del Digesto giustinianeo. I 51 libri “ad Sabinum” di Ulpiano sono un tipo di opera giuridica
in cui l’Autore fece dei commenti sui libri
“ius civile” di Sabino che fu un altro giurista di
età precedente, discutendo le sue opinioni
e in certi casi sviluppando e migliorando
le soluzioni proposte da Sabino. Nella storia
giurisprudenziale romana, ci sono quattro
giuristi che hanoo scritto libri “ad Sabinum”: Aristone, Pomponio, Paolo e Ulpiano[2]. L’importanza delle opere di Sabino derivò
dal fatto che, generalmente, si considerò Sabino come il giurista più importante tra
i fondatori della scuola sabiniana. In realtà,
la scuola alla quale Sabino appartenne fu
dato il nome di Scuola sabiniana proprio
per il suo contributo fondamentale nella
formazione della scuola. Nel paragrafo che stiamo esaminado, Ulpiano
cita un altro giurista, Marcello che visse
nella seconda fase dell’epoca degli Antonini.
Egli fu membro del consilio di Antonino Pio
e di Marco Aurelio[3], un giurista originale che in più punti
riesaminò criticamente i pensieri dei predecessori.
Nei suoi libri Digestorum ricorse spesso a citazioni e commenti delle
costituzioni imperiali contemporanee[4]. Marcello portò il suo contributo attraverso
un’attività viva di consulenti(che mancò
a Pomponio e Gaio)[5]. Perciò, le sue opinioni furono orientate
più dalla necessità pratica che dalla teoria
astratta. Questo carattere, risulta chiaramente
dal paragrafo che stiamo esaminando. 3. Il principio di “Alteri stipulari nemo potest” nel diritto romano
Per fare l’esegesi del passo, è utile fare
un riferimento introduttivo al c.d. principio
“alteri stipulari nemo potest” nel diritto romano[6]. Le fonti romane conservano una serie di testi che conferma direttamente l’esistenza del principio generale “Alteri stipulari nemo potest”. D.45,1,38,17. “alteri stipulari nemo potest, praeterquam
si servus domino, filius patri stipuletur…”. Gai.3,103. “Praeterea inutilis est stipulatio, si ei
dari stipulemur, cuius iuri subiecti non
sumus…”. D.50,17,73,4. “Nec paciscendo, nec legem dicendo, nec stipulando quisquam alteri cavere potest”. (Nè pattuendo, nè ponendovi legge, nè stipulando uno può far cautela ad un estraneo). D.44,7,11. “et ideo neque stipulari neque emere, vendere,
contrahere, ut alter suo nomine recte agat,
possumus”. (e perciò non possiamo stipulare, comprare,
vendere, contrarre, onde uno bene agisca
in suo nome). C.5,12,19. Imperatori Diocletianus et Maximinianus
aa. Isidoro: “…ita alteri cuius iuri subiectus non est
… dari vel restitui … nemo stipulari potest”. Si trova poi un’altra serie di testi che
applicano questo principio, oppure certe
decisioni che richiamano il principio come
presupposto. D.12,1,9,4. “…id est inutiliter, quoniam alii stipulari
non potui”? D.45,1,110, pr. “…ut quod extraneo inutiliter stipulatus
sum, non augeat meam partem”. (affinchè quello che inutilmente ho stipulato
per un estaneo, non accresca la parte mia). Tutti questi testi confermano che nel diritto
romano classico si osservò il principio
generale del divieto di stipulare per i terzi. Per quanto riguarda l’origine di questa
regola, si ritrovano varie spiegazioni[7]. La dottrina tradizionale spiega tal regola
dal punto di vista dalla struttura della
stipulazione. L’ “obligationes ex stipulatu” è un tipo di obbligazione prodotta dal
negozio verbale. Nel formalismo romano, l’efficacia
nasce dalla procedura solenne della dichirazione
delle volontà delle parti. La stipulazione
è un incontro di una domanda (stipulatio)
formulata dall’aspirante creditore e di
una corrispondente promessa (promissorio)
formulata dal futuro creditore. L’efficacia
della stipulazione si collega inseparabilmente
con la formula che costituisce la stipulazione.
L’efficacia non si può separare dalle persone
che pronunciano le formule, quindi è inconcepibile
che la stipulazione possa avere una connessione
con un terzo che è assente alla eseguzione
delle forme[8]. Ma la dottrina più recente ha sottolineato
che la difficoltà che stava alla base della
regola “alteri stipulari nemo potest” era rappresentata non tanto dal formalismo
della stipulazione, perché questa regola
anche si trovava la sua applicazione ai contratti
e ad atti assolutamente informali come il
“constitutum debiti”, quanto piuttosto dal fatto che la stipulazione
a favore del terzo, tendendo ad attribuire
al terzo stesso una “certa pecunia”, non avrebbe trovato uno strumento processuale
per la sua attuazione[9]. Generalmente, il querelante(stipulante) può
agire quando ricorra un interesse valutabile
dai giudici; piochè pero il contenuto della
stipulazione è alteri certum dare, è impossibile che i giudici concedano
un’azione allo stipulante. Poiché secondo
la formula dell’azione applicabile, il giudice
può condannare soltanto ad un somma di denaro
oppure al valore dell’oggetto che deve consegnare,
il giudice non ha la discrezione in virtù
della clausola “quidquid…oportet” a valutare gli altri interessi. Nel caso
della stipulazione per altri, invece, il
pagamento della somma di denaro oppure la
consegna dell’oggetto non dovrebbero essere
adempiuti verso stipulante, quindi non ci
sarebbe la possibilità per lui di agire[10]. Quest’ultima impostazione mi pare sia più
sostenibile per la sua congruenza allo sviluppo
successivo del principio nella dottrina giuridica
romana. 4. L’esegesi del paragrafo
4.1. analisi generale del passo D.45,1,38,20. Nel paragrafo si pone anzitutto un questione:
quando uno stipula per un terzo, ed egli
stesso ha un proprio interesse alla stipulazione,
in quel caso, la stipulazione fra le parti
è una stipulazione nel senso vera e propria,
cioè valida? Questa è una domanda abbastanza
generale. Poi, si è inserita nel passo un’opinione
di Marcello, secondo il quale, in un caso
speciale una stipulazione per altri di questa
natura vale come una stipulazione normale.
Marcello espone il caso in cui un contutore
aveva cominciato a impegnarsi negli affari
tutelari di un pupillo, e poi aveva abbandonato
la sua amministrazione tutelare agli altri
contutori, e aveva stipulato con loro che
i beni del pupillo dovevano rimanere al pupillo
stesso. Marcello ritiene che si possa sostenere
che la stipulazione sia valida. Per la giustificazione
della soluzione di Marcello, il passo ha
dato questa spiegazione:perchè vi sia un interesse dello stipulante
nella stipulazione ciò che se non si faccia
come quello stipulato, lo stipulante sarebbe
obbligato verso il pupillo. Questo è l’idea generale del passo. A livello strutturale, questo paragrafo può
essere diviso in tre parti. La prima parte
include i periodi “si stipuler alteri alli, cum mea interesset,
vedeamus, an stipulatio committatur. Et ait
Marcellus stipulationem valere in specie
huiusmodi”. In questa parte, si tratta di un tipo
speciale di stipulazione per altri nel quale
lo stipulante ha un proprio interesse nella
stipulazione, e propone il problema quale
se si incorre nella stipulazione. La domanda
in realtà presupone un problema, che il
principio “alteri stipulari nemo potest”
sia una regola rigida oppure flessibile permettendo
qualche eccezione. Ma il problema per noi
è soprattuto se la stipulazione per altri
con proprio interesse dello stipulante sia
un tipo di stipulazione speciale e quale
sia la sua rilevanza giuridica. La risposta
mi pare stia nella connessione fra il principio
“alteri stipulari nemo potest” e la giustificazione
di questo principio data dai giuristi rimani
attraverso la teoria dell’interesse nel
fondamento della stipulazione. Vediamo il paragrafo D.45,1,38,17: “Alteri stipulari nemo potest, praeterquam
si servus domino, filius patri stipuletur:inventae sunt enim huiusmodi obligationes
ad hoc, ut unusquisque sibi adquirat quod
sua interest:ceterum ut alii detur, nihil interest mea.
Plane si velim hoc facere, poenam stipulari
conveniet, ut, si ita factum non sit, ut
comprehensum est, committetur stipulatio
etiam ei, cuius nihil interest:poenam enim cum stipulatur quis, non illud
inspicitur, quid intersit, sed quae sit quantitas
quaeque condicio stipulationis”[11]. Nel passo, Ulpiano provò a trovare una
spiegazione al divieto. Secondo lui, la base
di “alteri stipulari nemo potest” era una conseguenza del fatto che lo stipulante
non aveva un interesse nella stipulazione
per altri. Questa è la teoria dell’interesse
della stipulazione per altri. Nelle dottrine romane, si trova anche altre
spiegazioni del divieto: per esempio, Paolo ha dato una spiegazione diversa nel
passo D.44,7(1),11: “Quaecunque gerimus, cum ex nostro contractu
originem trahunt, nisi ex nostra persona
obligationis initium sumant, inanem actum
nostrum efficiunt: et ideo neque stipulari,
neque emere, vendere, contrahere, ut alter
suo nomine recte agat, possumus”[12]. Ma l’impostazione delucidata nel passo D.45,1,38,17 sotto il
nome di Ulpiano[13] ebbe una grande influenza nella età successiva.
La teoria dell’interesse in realtà offrì
l’addentellato per riconosciere l’eccezioni
al divieto e attenuare la rigidità della
regola giuridica. Se l’origine e la base del divieto che stiamo
esaminando fanno riferimento alla mancanza
dell’interesse dello stipulante nella stipulazione
per altri, naturalmente e logicamente può
porrsi la domanda che, qundo non manca interesse
dello stipulante alla stipulazione, deve
applicarsi questo divieto? Questo è il significato
contestuale della prima parte che stiamo
esaminando. “Et ait Marcellus stipulationem valere in
specie huiusmodi.” La risposta della domanda è che “e
Marcello dice, che vale una stipulazione
in un caso di questa natura”. Da questa
frase possiamo dedurre che secondo Marcello,
in un certo caso, la stipulazione per altri
ha valdità qualora lo stipulante vi abbia
un interesse. Ma qui dice “in specie huiusmodi”,
cioè questa eccezione è limitata soltanto
in un caso speciale. Perciò, Marcello non
ha affermato generalmente che la stipulazione
per altri con lo stipulante che ha interesse
nella stipulazione sia valida. La seconda parte del passo occupa la descrizione
del caso proposto da Marcello. “Is, qui pupilli tutelam administrare coeperat,
cessit administratione contutori suo et stipulatus
est rem pupilli salvam fore. Ait Marcellus
posse defendi stipulationem valere”. Si tratta di un caso di tutela. Per spiegare
il significato del caso, faccio un breve
riferimento sul regime della resposabilità
del contutore nel diritto romano. Nella responsabilità dei contutori, secondo
l’opinione tradizionale si adopera la distinzione
tra tutela divisa e tutela indivisa. Tutela
divisa si ha quando, tra più tutori, ciascuno
amministra entro la sfera di competenza che
gli è stata assegnata. L’assegnazione può
provenire solo dal testatore o dall’autorità
tutelare, non da un accordo tra i tutori[14]. La tutela è indivisa quando non siano
predisposte sfere di competenza. Lo jus civile stabilisce per la tutela indivisa il regime
della solidarietà[15]. In questa sfera, si distingue fra regime
classico e regime giustinaneo ritenendosi
che in generale, nella età calssica si adopera
tutela indivisa e che il regime di essa fosse
quello della solidarietà pura. La gestione
tutelare era un tutto indivisibile e non
poteva conseguire che responsabilità solidale[16]. Se guadiamo il problema dal punto di vista
del regime dell’esonero dagli affari tutelari,
troviamo delle limitazione strette fondano
sulla concezione dell’obbligatorietà della
tutela. La rinunzia della tutela è accettabile
soltanto in casi limiti. Nell’epoca di Marco
Aurelio, cioè l’età in cui visse il Marcello,
fu tolta al tutote testamentario la facoltà
dell’abdicatio, e gli è stato esteso in compenso il regime
delle excusationes. L’elenco d’ipotesi in cui si aveva diritto
all’esonero in questa epoca è il seguente:
certi uffici pubblici, l’essenza rei publicae causa dal luogo dove si dovrebbe gestire la tutela,
alcune professioni, l’estrema povertà ect[17]. Comunque, il tutore non è conferita la
libertà di abbandonare la tutela che si
è assegnata a lui. Nel caso proposto di Marcello, il contutore
abbandonava l’amministrazione agli altri
contutori. Quest’abbandono si deve intendere
non come un gesto con carattere giuridico,
ma soltanto come una distribuzione degli
affari di fatto interno fra i contutori.
Nel regime della responsabilità solidale
fra contutori e la stretta limitazione dell’esonero
dagli affari tutelari, il tutore che abbandonava
la tutela era ancora gravata dalla responsabilità
della tutela. In questo caso, il tutore vuole
limitare la sua responsabilità attraverso
una stipulazione “est rem pupilli salvam fore” con gli altri contutori. A fronte di questa
stipulazione, vi sono due punti di vista.
Dal punto di vista del contenuto della stipulazione,
è proprio una stipulazione per un altro
cioè il pupillo sotto la tutela. Ma dal
punto di vista dell’intenzione sostanziale,
reale della stipulazione, questa serve principalmente
a limitare la responsabilità dello stipulante.
Possiamo dire che questi due punti di vista
si rapppresentano l’aspetto formale e quello
sostanziale della stipulazione. In questo
caso, per giudicare la validità della stipulazione,
si deve decidere tra elemento formale e elemento
sostanziale. La scelta dipende dal carattere
accademico del giurista. Marcello, è proprio
un giurista che prende le decisioni più
dal punto di vista della nacessità pratica
che della teoria astratta. Perciò, Marcello
dice di potersi sostenere che la stipulazione
sia valida. Ma l’espressione del passo è “Ait Marcellus posse defendi, stipulationem
valere”. Qui Marcello soltanto conferma che sia
possibile sostenere che la stipulazione abbia
validità, non ha stabilito un tipo di eccezione
generale al divieto “alteri stipulari nemo
potest”. Quantunque possiamo dire che il
Marcello aveva introdotto un’eccezione al
divieto, questa eccezione vale soltanto per
un caso molto speciale. La terza parte del passo è la giustificazione
dell’opinione di Marcello. “fieri quod stipulatus est, cum obligatus
futurus esset pupillo, si aliter res cesserit”. La spiegazione è fondata sulla teoria dell’interesse
dello stipulante alla stipulazione. “interest enim stipulatoris”, perchè vi è interesse dello stipulante. 4.2. qualche conclusione dall’esegesi generale Generalmente, nel passo che stiamo esaminando,
si discute il problema della possibilità
di permettere l’eccezione al principio di
“alteri stipulari nemo potest”. Il passo
ha trattato un tipo di stipulazione speciale,
quello nella stipulazione per altri in cui
lo stipulante ha un interesse. Questa discussione
non è occasionale, perche i giuristi romani
giustificano il principio proprio dal punto
di vista della mancanza dell’interesse dello
stipulante nella stipulazione. Il passo ha
citato la trattazione di Marcello di un caso
speciale, in cui egli espresso l’opinione
che una stipulazione fra il contutore che
abbandonava la propria aministrazione e gli
altri contutori sulla gestione correta degli
affari tutelari sia possibile sostenere la
validità di una stipulazione. La giustificazione
del parere nel passo si basa in cui egli
ha sostenuto sul fondamento dell’interesse dello stipulante
nella stipulazione. Si può quindi dedurre da questo passo, che
il principio “alteri stipulari nemo potest”
non sia un principio assoluto, e che si può
anche introdurre un eccezione, e quindi,
si può stipulare per altri. L’esistenza
di questo passo indica chiaramente che il
diritto romano, in certo caso riconosce in
un determinato caso la validità della stipulazione
per altri. In questo passo, il riconoscimento dell’eccezione
al principio si è realizzato attraverso
la teoria dell’interesse dello stipulante
nello “stipulari alteri”. Ma il problema
è: qual è il rapporto fra questo passo
e la teoria dell’interesse? Nel caso trattato
da Marcello, la sua soluzione è ispirata
alla teoria dell’interesse, o viceversa,
la soluzione occasionale di Marcello schiude
ai giuristi romani una metodologia capace
di scalvacare il rigido principio “alteri
stipulari nemo potest”? Le risposte a queste
domande, non possono aversi, se non facendo
riferimento ai passi contestuali e al problema
dell’interpolazione. 4.3. esegesi contestuale del passo Come ho indicato sopra, il passo D.45,1,38,20.
presenta qualche dubbio. Il passo conferma
certamente la possibilità di ammettere l’eccezione
al principio “Alteri stipulari nemo potest”,
ma la natura di questa eccezione non è chiara
se consideriamo questo passo isolatamente.
In fatti il passo non sostiene l’impostazione
secondo cui già nell’età classica, valeva
il principio generale della validità della
stipulazione per terzi in base all’presenza
di un interesse giuridico dello stipulante
nella stupulazione. L’opinione di Marcello
fa riferimento soltanto a un caso speciale
(“stipulationem valere in specie huiusmodi”). Perciò, dobbiamo considerare concretamente
gli espedienti adoperati dalla giurisprudenza
classica per sfuggire all’applicazione della
regola “alteri stipulari nemo potest”.
Succesivamente valutare la portata della
soluzione sostenuta da Marcello nel passo. Nell’ambiente sociale dell’impero, il rigido
dogma dell’invalidità della “stipulatio
alteri” doveva urtare contro le esigenze
del commercio giuridico. I giuristi romani
cercavano soluzioni diverse per sfuggire
a questa regola. secondo le dottrine tradizionali,
si faveva ricorso ai seguenti strumenti: (1)pena convenzionale. Vediamo il passo notissimo
D.45,1,38,17. dove Ulpiano propone prima
il principio “alteri stipulari nemo potest”, e subito dopo un’espediente per evadere
la sua applicazione. “Alteri stipulari nemo potest… Plane si velim
hoc facere, poenam stipulari conveniet, ut,
si ita factum non sit, ut comprehensum est,
committetur stipulatio etiam ei, cuius nihil
interest:poenam enim cum stipulatur quis, non illud
inspicitur, quid intersit, sed quae sit quantitas
quaeque condicio stipulationis”. Attraverso la pena convenzionale, la
stipulazione a favore a terzo può essere
applicabile indirettamente. (2) “adiectio solutionis causa”. Un altro espediente nel campo dei contratti
a favore del terzo, che la tecnica giuridica
romana metteva a disposizione era l’ “adiectio solutionis causa”. Benchè non si potese procedere a “stipulatio alteri”, i giurisconsulti utilizarono le altre
due forme, simili rispetto alla “stipulatio
alteri”, cioè la “stipulatio sibi et alteri” e la “stipulatio sibi aut alteri”. Della “stipulatio sibi et alteri”, troviamo trattazione in Gaio. “Praeterea inutis est stipulatio, si ei dari
stipulemur, cuius iuri subiecti non sumus.
Unde illud quaesitum est, si quis sibi et
ei, cuius iuri subiectus non est, dari stipuletur,
in quantum valeat stipulatio. Nostri praeceptores
putant in universum valere et proinde ei
soli qui stipulatus sit solidum deberi, atque
si extranei nomen non adiecisset. Sed diversae
scholae auctores dimidium ei deberi existimant,
pro altera vero parte inutilem esse stipulationem”[18]. Secondo la dottrina seguita dalla scuola
sabiniana, ma la stipulazione di questa natura
è valida, pero la prestazione deve essere
eseguita verso lo stipulante anziché il
terzo. I Proculiani invece insistono che
la stipulazione rispetto al terzo cioè quella
parte “et alteri” sia invalida. Possiamo dedurre che il
principio di “alteri stipulari nemo potest” in tal soluzione restava ancora assoluto[19]. Ma il pensiero della scuola sabiniana confermava
che almeno nell’età classica, qualche studioso
amise che quando la stipulazione si riferiva
allo stipulante e ai terzi colletivamente,
poteva avere validità come stipulazione
normale. Ma il problema è che in questi
casi, il terzo non poteva ricevere la prestazione
indipendentemente. Nella “stipulatio sibi aut alteri”, il terzo appare alternativamente accanto
allo stipulante, e può acquistare la prestazione
come “solutionis causa adiectus”. Vediamo il passo D.46,3,98,5. “Qui stipulatus sibi aut Titio, si hoc dicit.
Si Titio non solveris, dari sibi: videetur
conditionaliter stipulari. … At ubi simpliciter
sibi aut Titio stipulatur, solutionis tantum
causa adhibetur Tititus…” (chi stipula di darsi a sè o a Tizio,
si dice questo, cioè di darsi a sè, se
Tizio non pagherà, sembra stipulare condizionatamente.
… Ma laddove stipula semplicemente per sè
o per Tizio, Tizio viene adoperato soltanto
per motivo di pagamento). In questo caso,
la stipulazione con riferimento al terzo
è valida. Il terzo assume la posizione di
soggetto addetto a ricevere il pagamento,
quindi non ha una posizione giuridica indipendente.
Il punto debole di questo istituto era nell’impossibilità
di costringere il promittente a pagare all’
“adiectus”. Questa debolezza è eliminata
dai giuristi romani attraverso la clausola
“utrum ego velim” aggiunta alla normale forma della stipulazione.
Vediamo in D.45,1,118,2, un passo di Papiniano:
“decem mihi, aut Titio, urtrum ego velim,
dare spondes? Ex eo, quod illi solvendum,
incerti; finge mea interesse, Titio potius
quam mihi solvi: quoniam poenam promiseram,
si Titio solutum non fuisset” (Prometti dare dieci a me o a Tizio, qual
io vorrò? Per quello, che a me devesi dare,
evvi stipulazione di cosa certa; per quello,
che a colui deve pagarsi, è di cosa incerta;
fingi essere mio interesse, pagarsi piuttosto
a Tizio, che a me; poichè aveva il promesso
una penale, se a Tizio non si fosse pagato.)
Papiniano deduce da questa cauzione un’azione
“certae pecuniae” dalla parola “mihi dare” e un’azione “incerti” dalle parole “aut Titio utrum ego velim” a scelta dello stipulante che si è deciso
a chiedere il pagamento al terzo[20]. Questa soluzione indica notevolmente l’arrichimento
della tecnica giuridica nello sviluppo dei
contratti a favore dei terzi. (3) soluzione che combina la pena convenzionale
e l’“adiectio solutionis causa” Sempre nel passo D.46,3,98,5., Paolo ha proposto
un’altra stipulazione di “sibi aut alteri”. “… Et ideo etiam sic facta stipulatione, mihi decem, aut quinque Titio dari? Quinque Titio solutis, liberabitur reus
a stipulatore. Quod ita potest admitti, si
hoc ipsum expressim agebatur, ut quasi poena
adiecta sit in persona stipulantis, si Titio
solutum non esset.” (… E però facendosi anche così una
stipulazione, prometti darsi dieci a me o
cinque a Tizio? Pagati i cinque a Tizio,
il debitore sarà liberato in faccia allo
stipulante. Il che può ammettersi così,
se di questo espressamente trattavasi; che
quasi una penale sia stata aggiunta per la
persona dello stipulante si a Tizio non si
fosse pagato.) Questo passo è oggetto intensa
discussione della dottrina. Il problema è
se sia vero che la stipulatio “sibi aut
alteri” dalla persona aggiunta del creditore
che con la stipulazione si può ritenere
l’obbligazione estinta per il pagamento
della somma minore. Dal punto di vista del
formalisimo dello Jus civile, il pagamento della somma minore da quella
dovuta non effettua la “solutio” dell’obbligazione, se anche il creditore
accettante vuole accontentarsene.[21] Per questo, la dottrina recente sostiene
che l’estinzione dell’obbligazione per
il pagamento della somma minore all’ “adiectus”, si possa spiegare soltanto quando questa
somma rappresenta la propria prestazione
e la somma maggiore aveva la funzione di
pena. Perciò, la “stipulatio mihi decem aut quinque Titio” deve essere trattata come la “stipulatio si Titio quinque non dederis,
decem mihi dari”. Da questo punto di vista, questa soluzione
ha combinato i primi due espedienti per sfruggire
l’applicazione del principio, cioè la pena
convenzionale e “adiectio solutionis causa”. (4) rapporti tra gli espedienti e la teoria
dell’interesse condisderiamo anzitutto la pena convenzionale.
Nel passo D.45,1,38,17, il testo fa anche
riferimento all’interesse dello stipulante.
“…inventae sunt enim huiusmodi obligationes
ad hoc, ut unusquisque sibi adquitar quod
sua interest: certerum ut alli detur, nihil
interest mea…”. Qui il passo proposto una spiegazione
generale, dal punto di vista della mancanza
dell’interesse dello stipulante, per giustificare
il principio “alteri stipulari nemo potest”. Nel caso di “stipulatio sibi aut alteri”, per esempio, D.45,1,118,2, anche ci si
riferisce al problema dell’interesse. “… finge mea interesse, Tizio potius quam
mihi solvi…”(finge essere mio interesse, pagarsi piuttosto
a Tizio, che a me.) Il problema significativo è che nei casi
in cui si vuole sfruggire l’applicazione
dell “alteri stipulari nemo potest”, ci si riferisce generalmente anche alla
teoria dell’interesse. Da qui deriva la
necessità di rivalutare la teroria dell’interesse
nell’età classica. A quell’epoca valeva
il principio generale della validità della
stipulatio “in favorem tertii” in base all’interesse dello stipulante?
La risposta, in base alla considerazione
letterale, molto probabilmente è sì, ma
quando si fa riferimento al problema dell’interpolazione
possibile, la risposta diventa più compilcata. Secondo la maggiore parte dei romanisti,
i passi sul tema che stiamo esaminando, sono
molto probabilmente stati interpolati. Secondo
loro, nell’età classica, vi erano soltanto
alcune eccezioni della regola “alteri stipulari nemo potest” che sono realizzate attraverso diversi
espedienti. In via generale, non vi era state
rinvenito un principio generale che poteva
conferare la validità della “stipulatio alteri” qualora lo stipulante vi abbia un’interesse.
Le spiegazioni dal punto di vista dell’interesse
che giustificavano le tecniche adoperate
dai giuristi romani furono completamente
invenzioni dei compilatori giustinianei.
4.4.il problema dell’interpolazione Rivediamo il testo di D.45,1,38,20. “Si stipuler alli, cum mea interesset, videamus,
an stipulatio committetur. Et ait Marcellus
stipulationem valere in specie huiusmodi.
Is, qui pupilli tutelam administrare coeperat,
cessit administratione contutori suo et stipulatus
est rem pupilli salvam fore. Ait Marcellus posse defendi stipulationem
valere: interest enim stipulatoris fieri
quod stipulatus est, cum obligatus futurus
esset pupillo, si aliter res cesserit.” Nelle analisi preliminari che sopra riportato,
ho indicato che fra le tre parti del testo,
la prima parte propone una domanda generale
sulla validità della stipulazione per i
terzi quando lo stipulante vi abbia un interesse.
Ma nella seconda parte, Marcello trattava
soltanto un caso speciale di stipulazione
di questa natura. Perciò, letteralmente,
vi è una frattura fra queste due parti. Consideriamo poi una ripetizione dell’“ait Marcellus” nel testo. Secondo il Pacchioni, nel testo,
le frasi dalla “si stipuler…” alla “…in specie huiusmodi” e quelle dalla “interest enim…” alla “…aliter res cesserit” sono state interpolate[22]. Lo scopo dell’interpolazione era molto
chiaro. L’interpolazione all’inizio del
passo, funziona come un’introduzione alla
decisione successiva è di fatta per rendere
sotto l’aspetto di una decisione sigolare
conforme un principio generale. Nell’interpolazione
a chiusura del passo, attraverso l’aggiunta
della giustificazione della teoria dell’interesse,
il parere di Marcello si dimostra come un
esempio normale in confronto all’esistenza
presunta generale validità della stipulazione
per altri quando vi sia presenta un interesse
proprio. Anche nel passo notissimo D.45,1,38,17.,
la giustificazione generale del principio
di “alteri stipulari nemo potest” dal punto di vista della mancanza dell’interesse
dello stipulante nella stipulazione è interpolata.
Queste frasi nel passo “inventae sunt enim huiusmodi obligationes
ad hoc, ut unusquisque sibi adquirat quod
sua interest: ceterum ut alii detur, nihil
interest mea” sono state interpolate con l’intenzione
di generalizzare il principio della validità
della “stipulatio alteri” per il caso in
cui ci fosse eventuale interesse dello stipulante[23]. Nel passo D.45, 1,118,2., dove si tratta
la stipulatio “sibi aut alteri”, pure si trova l’espressione “…finge mea interesse, Titio potius quam
mihi solvi…”. Secondo gli interpolatisti, anche questa
è stata interpolata[24]. Consideraimo adesso un fenomeno molto interessante.
Secondo le dottrine degli interpolatisti,
tutti gli espedienti adoperati dai giureconsulti
classici per sfuggire il divieto “alteri stipulari nemo potest” sono stati interpolati in base alla teoria
dell’interesse. I passi sul tema di “stipulari alteri” dei giuristi classici quindi alludono
direttamente o indirettamente all’esistenza
di un’eccezione abbastanza ampia del divieto.
Ma a livello letterale, il passo D.45,1,38,20.
che fa riferimento all’interesse dello stipulante
nella stipulazione non può sostenere l’ipotesi
della validità generale della “stipulatio
alteri” qualora vi sia un interesse dello
stipulante. Gli ambiente giuridici in quel
tempo neppure permisero questa supposizione.
Possiamo dedurrlo dalla pratica faticosa
dei giursti classici dell’evasione del divieto
di “alteri stipulari nemo potest”. In generale, mi pare che sia possibile affermare
la mancanza di un principio generale sulla
validità della “stipulari alteri” in base
alla presenza dell’interesse dello stipulante,
nel diritto romano classico. In questa epoca,
invece il principio “alteri stipulari nemo potest” rimase abbastanza rigido. Le eccezioni
accettabili di questo principio furono assai
rare. I giuristi classici erano riusciti
a trovare qualche espediente occasionale
per evitare l’applicazione di questo principio,
ma non avevano dato vita ad una soluzione
sistematica in torno al problema. Da questo
punto di vista, l’opinione di Marcello valse
soltanto in un caso speciale della “stipulatio alteri”. La teoria dell’interesse per giustificare
la validità della “stipulatio alteri” non mostrò una soluzione di carattere
generale in quest’epoca. 4.5. l’importanza rilevante della soluzione
proposta da Marcello nel passo D.45,1,38,20.
Benchè, come ho scritto sopra, nel diritto
romano classico ancora non si formò una
soluzione generale per confermare la validità
della “stipulatio alteri”, l’opinione di Marcello esposta nel passo
D.45,1,38,20. ancora funziona come un punto
di partenza nello sviluppo istituzionale
succesivo. Secondo le dottrine degli interpolatisti,
questo passo è stato interpolato molto probabilmente,
ma gli elementi fondamentali, cioè la descrizione
del caso in cui il contutore abbandonò il
suo affare tutelare agli altri contutori
e stipulò per il pupillo con gli altri contutori
e l’affermazione di Marcello della possibilità
di sostenere la validità della stipulazione
sono genuini. Se, è certo che la giustificazione
dell’opinione di Marcello attraverso la
teoria dell’interesse sia possibile mediante un’interpolazione dei compilatori giustinianei,
io direi l’interpolazione fu possibile poiche
l’opinione di Marcello si poteva essere
spiegata soltanto in questo modo, altrimenti,
i compilatori non avrebbero scelto questo
passo. Proprio la congruenza tra opinione
di Marcello e l’intenzione dei compilatori
giustinianei regge la possibilità dell’interpolazione. L’opinione di Marcello indica un’altra
possibiltà di sfuggire dal divieto “alteri stipulari nemo potest” oltre alla pena convenzionale e l’“adiectio solutionis causa”. La differenza fra questo espediente e
gli altri due sta nel fatto che Marcello
sostenne direttamente la validità della
“stipulatio alteri” a condizione che lo stipulante avesse
un interesse[25], ma la pena convenzionale e l’ “adiectio solutionis causa”, formalmente ancora rispettavano il principio
“alteri stipulari nemo potest”, perciò quantunque si siano riusciti
a realizzare lo scopo di fuggire l’applicazione
della regola, a livello formale non costituivano
eccezioni alla regola. In realtà, lo stipulari
“sibi et alteri” oppure il “sibi aut alteri”, non forono “stipulari alteri” nel senso
vero e proprio per l’esistenza dello stipulante
nella stipulazione. Anche l’inserimento
della clausola di pena convenzionale nella
“stipulatio alteri” cambia la natura della stipulazione. Infatti,
nel passo D.45,1,38,17. si legge “poenam enim cum stipulatur quis, non illud
inspicitur, quid intersit: sed quae sit quantitas,
quaeque conditio stipulationis”(perciò quando uno stipula una penale,
non si guarda all’interesse, che vi si abbia,
ma qualsiasi la quantità, e quale la condizione
della stipulazione). In questo caso, l’elemento
rilevante decisivo cambia dalla prestazione
per i terzi alla pena convenzionale fra lo
stipulante e il promittente, quindi era abbastanza
difficile dire che questa soluzione rimanga
un eccezione alla invalidità dell’ “stipulari alteri”. In questo ambiente, la soluzione di Marcello mostrò un carattere di franchezza nell’ammissione dell’eccezione alla invalidità della “stipulari alteri”. Proprio per questo, il parere di Marcello su un caso speciale, in realtà ispirò ai giuristi romani dell’epoca seguente una metodologia per schiudere la rigida norma dell’ “alteri stipulari nemo potest”. La nozione flessibile dell’interesse permise la possibilità di estendere un’eccezione di carattere speciale alla regola generale. 5. La regola sullo “stipulari alteri” nell’età giustinianea
5.1. la conferma formale del principio “alteri stipulari nemo potest” nel diritto giustinianeo e le sue eccezioni
Vediamo il passo I.3,19,19: “alteri stipulari, ut supra dictum est, nemo
potest…”. Praticamente questo passo è un riassunto
del passo D.45,1,38,17 di Ulpiano in Digesto.
La affermazione di Ulpiano sul principio
“alteri stipulari nemo potest” rimase ancora in vigore. Questo punto emerge anche dal passo I.3,19,4:
“si quis alii, quam cuius iuri subiectus sit,
stipuletur, nihil agit”. Da questi passi, si può dedurre che generalmente anche nell’età giustinianea il principio “alteri stipulari nemo potest” rimase efficace. La giustificazione di questa regola si era sempre fondata sulla conessione fra la validità della stipulazione e l’interesse dello stipulante, come dimostrato nel passo D.47,1,38,17 e in quello I.3,19,19. Per quando riguarda le eccezioni al principio,
si trovavano gli esempi come i seguenti: C. 8,54,3(Diocl.
et Max.)[26]. In questo passo, una donazione modale si
era stipulata, e il donante doveva trasferire
la donazione al terzo dopo un periodo determinato.
Secondo il principio, né lo stipulante né
il terzo potevano avere un’azione per eseguire
la stipulazione. Gli imperatori, in questo
caso, concedevano un azione equivalente al
terzo. La concessione di azione alla stipulazione
per i terzi costituiva una eccezione diretta
al principio “per extraneam personam nobis adquiri non
posse”. Un altro esempio sta nel passo C. 3,42,8(Diocl.
et Max.)[27]. In questo passo, si tratta di un tipo di
deposito, in cui il depositante e il depositario
stipularono che il depositario dovesse restituire
i beni non al depositante ma a una terza
persona. In questo caso, al terzo era conferita
un’“actio depositi utilis”[28]. Quantunque questi passi siano stati interpolati
secondo gli interpolatisti, esso dimostra
pero che nell’età giustinianea, l’ambito
delle eccezioni si era espanso considerevolmante
rispetto all’età classica. 5.2. i cambiamenti degli espedienti per sfuggire
il principio “alteri stipulari nemo potest” nell’età giustinianea. Siccome nel diritto giustinianeo rimase,
in generalmente vogore il principio “alteri stipulari nemo potest”, agli espedienti naturalmente rimasero
le funzione istituzionali nell’età giustinianea.
Ma le innovazioni introdotte da Giustiniano
anche riguadavano in questa sfera. Per quando rigurda la pena convenzionale,
rimase invariata. Possiamo vederlo dal passo
I.3,19,19[29]. Quanto alla “adiectio solutioni causa”, nella forma “stipulari sibi et alteri”, abbiamo visto in un passo di Gaio, che
secondo le dottrine classiche vi fu controversia
fra la scuola gaiana e la scuola proculiana[30]. La soluzione di Giustiniano seguì l’opinione
della scuola proculiana. “… quod si quis sibi et alli, cuius iurisubiectus
non sit, decem dari aureos stipulatus est,
valebit quidem stipulatio: sed utrum totum
debetur quod in stipulatione deductum est,
an vero pars dimidia dubitatum est: sed placet
non plus quam partem dimidiam ei adquiri
…”[31]. In questo caso, Giustiniano tenne conto
dell’invalidità dello “stipulari alteri”. Nel caso “stipulari sibi aut alteri”, la validità era confermata direttamente.
“… Plane solutio etiam in extranei personam
conferri potest(veluti si quis ita stipuletur:
‘mihi aut Seio dare spondes’?), ut obligatio
quidem stipulatori adquiratur, solvi tamen
Seio etiam invito eo recte possit, ut liberatio
ipso iure contingat, sed ille adversus Seium
habeat mandati actionem”[32]. In linea generale, alla “adiectio solutioni causa” come espediente per fuggire il principio
“alteri stipulari nemo potest” rimase tale funzione istituzionale anche
nell’età giustinianea. Giustiniano realizzò
qualche decisione per risolvere la controversia
fra le diverse scuole. 5.3. la conferma generale della validità
dell’ “stipulari alteri” qualora lo stipulante vi abbia un interesse. Vediamo il passo I.3,19,20: “Sed et si quis stipuletur alii, cum eius
interesset, placuit stipulationem valere.
Nam si is, qui pupilli tutelam administrare
coeperat, cessit administratione contutori
suo et stipulatus est rem pupilli salvam
fore, quoniam interest stipulatoris fieri
quod stipulatus est, cum obligatus futurus
esset pupillo, si male res gesserit, tenet
obligatio. Ergo et si quis procuratori suo
dari stipulatus sit, sitpulatio vires habebit.
Et si cresitori suo quod sua interest, ne
forte vel poena committatur vel praedia distrahantur
quae pignori data erant, valet stipulatio”. Praticamente, questo passo è un riassunto
del passo corrispondente del Digesto, cioè
D.45,38,20. Però, non si tratta un semplice
riassunto, ma poichè contiene una revisione
sostanziale. Indicherò i punti rilevanti
delle ssomiglianza e differenze tra questi
due passi : a) In I.3,19,20 si dice “…Sed et si quis stipuletur alii, cum eius
interesst, placuit stipulationem valere…”. Attraverso questa espressione, Giustiniano
dichiarò esplicitamente la validità dello
“stipulari alteri” quando lo stipulante
ha un interesse. Ma in D.45,1,38,20 si dice
“si stipuler alii, cum mea interesse, vediamus, an stipulatio committatur?” la voce scrupolosa indica che vi è un
grande dubbio a confermazione la “stipulari alteri” come una stipulazione normale nel caso
in cui lo stipulante ha un interesse. Il
Digesto è una compilazione di opere giuridiche,
in cui si tratta di problemi in maniera scientificamente.
La necessità della brevità e semplicità
nella compilazione delle Istituzioni provoca
ogni accorciamento possibile delle discussioni
accademiche nel testo del Digesto. b) In D.45,1,38,20, il caso proposto da Marcello
serve solo per una soluzione occasionale,
cioè l’opinione del Marcello vale soltanto
per il caso trattato. “et ait Marcellus stipulationem valere in
specie huiusmodi”. Ma in I.3,19,20 il caso di Marcello funziona
come un esempio qualsiasi per esplicitare
la nozione di interesse dello stipulante.
Da questo punto di vista, possiamo dedurre
che una soluzione occasionale proposta da
Marcello si è trasformata in Giustiniano
in un principio abbastanza ampio. c) Quantunque il caso sia lo stesso, in I.3,19,20,
Giustiniano non ha fatto riferimento al nome
di Marcello. Infatti, l’autorità del giureconsulto
non era necessaria nella redazione delle
Istituzioni giustinianee, poiché l’autorità
del legislatore Giustiniano era sufficiente
per stabilire una norma nuova. Ma nell’età
classica, il ricorso all’autorità del giurista
era neccesario. Per concluere il paragone tra questi due
passi, si può confermare che i giuristi
classici posero il problema, se fosse valida
quella stipulatio a favore del terzo, che
presentasse un interesse per lo stipulante,
e lo risolsero caso per caso, astenendosi
dal formulare in generale la soluzione affermativa.
Cio è chiaramente documentato dal D.45,1,38,20,
che permette di affermare per certo che Marcello,
e poi Ulpiano, decisero per la validità
della stipulazione almeno per il caso del
contutore. Nel passo geminato delle I,3,19,20.
formularono invece il principio generale.
I casi, che nell’origine reppresentavano
le esclusive applicazioni del principio,
divengono, così, meri esempi della regola
generale, la quale, per ciò, risulta applicabile
tutte le volte che ricorra in genere il presupposto
dell’interesse dello stipulante[33]. Quindi, nella età giustinianea, il principio
dello “stipulari alteri nemo potest” rimase, ma nel stesso tempo, fu stabilita
un’eccezione generale a questo principio:
la “stipulari alteri” è valida qualora lo stipulante vi abbia
un interesse. La riforma di Giustiniano è molto importante
nella storia istituzionale dello “stipulari alteri”. La rigidità dell’invalidità è mitigata
attraverso la categoria flessibile dell’interesse
dello stipulante. La soluzione sostenuta
da Giustiniano è proprio il fondamento della
dottrina moderna. Siccome la soluzione di
Giustiniano si è fondata anche sull’opinione
di Marcello espressa nella trattamento di
un caso speciale, si può dire che il passo
D.45,1,38,20 rappresenta il punto di partenza
della lunga storia istituzionale per riconoscere
la validità della stipulazione per i terzi. 6. L’influenza della soluzione giustinianea
sui codici moderni
6.1. lo sviluppo storico del principio “alteri stipulari nemo potest” nella età successiva Nell’età medievale e moderna, lo sviluppo
della dottrina sull’“alteri stiuplari nemo potest” seguì due tendenze. La prima seguì l’attegiamento
generale del diritto giustinianeo, e fece
le motivazioni concrete attraverso la spiegazione
più liberale dell’interesse necessario
dello stipulante. Ma a livello fomale ancora
affermò il principio “alteri stipulari nemo potest”. L’italia, la Francia sono rappresentanti
di questa tendenza. Però nella famiglia giuridica ronamistica
anche emerse un altra tendenza dottrinale.
Nell diciasettesimo secolo, nei Paesi bassi,
la giurisprudenza cominciò il processo di
districarsi il principio romano per adattare
alla situazione economica borghese. I giusnaturalisti
attacrono il principio dal punto di vista
dello jus naturale. Per esempio, Hugo Grotius nella sua opera
classica “De Jure Belli ac Pacis” affermò la contraddizione fra il principio
romano e lo jus naturale. “si mihi facta est promissio, omissa inspectione
an mea privatim intersit, quam introduxit
ius Romanuma, naturaliter videtur mihi acceptandi
ius dari efficendi ut ad alterum ius perveniat,
si et is accepter … Nam is sensus iuri naturae non repugnat”[34]. Nella spiegazione di Grotius, l’elemento
essenziale del contratto è il consenso e
la volontà delle parti. Perciò il riconoscimento
generale del contratto a favore dei terzi
sta nella base della volontà nogoziale e
la facoltà di disporre i propri interessi
degli individui. La dottrina dei Paesi bassi,
era accetata dalle codificazioni in Prussia,
Bavaria e Sassone[35]. Pure nel BGB, adoperava questa tendenza. 6.2. l’influenza delle dottrina romana sul
codice civile francese e italiano. Vediamo primo l’articolo 1120 del codice
civile francese . Art.1121: on peut pareillement stipuler au profit d’un
tiers, lorsque telle est la condition d’une
stipulation que l’on fait pour soi-meme
ou d’une donation que l’on fait à un autre.
Celui qui a fait cette stipulation ne peut
la révoquer, si le a déclaré vouloir en
profiter[36]. Ovviamente, il pensiero romano ha un’influenza
esplicita nell’articolo citato. Un interesse
necessario per la validità della stipulazione
per i terzi come quei passi D.45,1,38,17e
I.3,19, 19-20 e la donazione sotto il modo
come quel C.8,54,3. sono le testimonianze. Per quando riguarda Il codici civile italiano 1942, troviamo l’articoli segunte: Art.1411: E’ valida la stipulazione a favore di un
terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse. Salvo patto contrario, il terzo acquista
il diritto contro il promittente per effetto
della stipulazione. Questa però può essere
revocata o modificata dallo stipulante, finché
il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto
del promittente, di volerne profittare. In caso di revca della stipulazione o di
rifiuto del terzo di profittarne, la prestazione
rimane a beneficio dello stipulante, salvo
che diversamente risuli dalla volontà delle
parti o dalla natura del contratto. La prima comma dell’articolo 1411 adopera
direttamente la soluzione giustinianea. Per
confermare la validità della stipulazione
a favore dei terzi, un interesse dello stipulante
sia necessario. 6.3. la soluzione nella dottrina Pandettistica. Vediamo l’articolo 328 la prima comma del
BGB: Vertrag zugunsten dritter Durch Vertrag Kann eine leistung an einen
dritten mit der Wirkung bedungen werden,
dass der dritte unmittelbar das Recht erwirbt,
die Leistung zu fordern.[37] Qui non si fa riferimento all’interesse
necessario in capo allo stipulante. La validità
della stipulazione a favore di terzo si è
riconosciuto non come una figura eccezionale
ma come un strumento generale. Questa soluzione
è seguita anche in Svizzera. Nell’ABGB articolo 881, comma 2, ribadiva
la regola della relatività dei contratti
e prevedeva che nessuno potesse obbligarsi
in nome proprio o ricevere promesse in nome
proprio a favore di terzi, se non nei casi
previsti dalla legge, che in quel codice
si riducevano essenzialmente alla rappresentanza[38]. Ma questa discipilina è cambiato dalla
revisione introdotta dalla Novella del 1916,
ha inserito espressamente nel codice austriaco
un contratto a favore di terzo che segue
il modello adotto dal codice tedesco. Nella leggi sui contratti cinese dell’anno
1999, anche adopera la soluzione tedesca.
Vediamo l’articolo 64: “Se le parti si accordano che il debitore
adempia l’obbligazione in favore di un terzo,
il debitore è responsabile verso il creditore
per inadempimento se non ademipie obbligazione
nei confronti del terzo o adempie in maniera
non conforme agli accordi”. 6.4. lo sviluppo recente della giurisprudneza
nel tema del contratto a favore di terzo
in Francia e Italia e la tendenza dell’integrazione
della soluzione. In francia, l’evoluzione applicativa del
contratto a favore di terzo si è sviluppata
attraverso l’elaborazione dottrinale e giurisprudenza
al fuori della codificazione. Nella codificazione
continua ad ammettere sulla scia della tradizione
romanistica, la stipulazione del terzo solo
in due casi ben definiti come ho indicato
sopra: quando ciò rappresenti la condizione
di una stipulazione a proprio favore o di
una donazione che si fa ad altri. Ma secondo
la dottrina francese, l’elemento determinante
è costituito dalla intenzione della parti,
cioè volontà contrattuale. Per quanto riguarda
“interesse dello stipulante”, infine, la
giurisprudenza francese considera attualmente
irrilevante la dimostrazione della esistenza
di tale interesse. In Italia, la soluzione proposta dall’articole
1411 è sotto discusso intenso. Il riconoscimento
della validita del contratto a favore di
terzo condizionato alla esistenza di un interesse
in capo allo stipulante ha determinato notevoli
incertezze interpretative. Secondo dottrina
recente, l’interesse anche può essere di
natura esclusivamente morale o effettiva[39]. Questo interesse secondo il Bianca, integra
la causa della disposizione[40]. Quindi, la formulazione di questa norma,
si è spiegata non dalla tradizione romanistica
ma dalla discussione relativa alla effettiva
portata del principio causale. L’esigenza
di rinvenire una causa dell’attribuzione
al terzo era salvata elevando l’interesse
dello stipulante a “causa” dell’interno schema negoziale. Attraverso
questa spiegazione, in realtà, il contratto
a favore di terzo non mostra una figura eccezionale.
Il riconoscimento della validità di questo
contratto è realizzato concretamente. Lo sviluppo della dottrina in Francia e in
Italia rappresenta una tendenza di integrazione
della soluzione in Europea. Vediamo la soluzione sostenuta dai Principi
di diritto europeo dei contratti Articolo 6: 110 contratto a favore di un
terzo Un terzo può chiedere l’adempimento di
una obbligazione contrattuale quando tale
diritto è stato espressamente pattuito tra
un promittente e uno stipulante, oppure quando
un accordo in tal senso può essere ricavato
dalla natura o dall’oggetto del contratto
o dalle circostanze del caso. Non è necessario
che l’dentità del terzo sia nota al momento
della conclusione del contratto. Se il terzo rinunzia al diritto alla prestazione,
il diritto si considera come non mai acquistato
da lui. Lo stipulante può, mediante communicazione
al promittente, revocare il diritto acquistato
dal terzo, salvo che: (a) il terzo abbia
ricevuto comunicazione dallo stipulante che
il diritto gli è stato attribuito in maniera
irrevocabile, o (b) il promittente o lo stipulante
abbia ricevuto dal terzo comunicazione di
volerne profittare. Qui, adopera generalmente la dottrina tedesca.
Le soluzoni di Italia e Francia non sono
state segite. Il riconoscimento del contratto
a favore di terzo come una figura normale
si è realizzato completamente nei principi
di diritto europeo dei contratti. 7.Bibliografia: 1. Reinhard Zimmermann, the law of obligations(roman
foundations of the civilian tradition), Boston,
1192. 2. L. Chiazzese, Confronti testuali. Contributo
alla dottrina delle interpolazioni giustinianee,
in Annali Sem. Univ. Palermo 16 (1931). 3. Antonio Guarino, Diritto privato Romano(decima
edizione), Napoli, 1994. 4. Emilio Betti, Diritto Romano(I), parte
generale, Padova, 1935. 5. A. Burdese, Manuale di diritto privato
romano, (terza edizione), Torino, 1985. 6. Okko Behrends, Le due giurisprudenze romane
e le forme delle loro argomentazioni, Index,
Vol.12, 1983-1984. 7. Pasquale Voci, La responsabilità dei
contutori e degli amministratori cittadini,
Iura, 21,1970. 8. Psaquale Voci, I garanti del tutore nel
pensiero di Pabiniano, Iura, 20, 1969. 9. C.Bianca, Diritto Civile, il contratto,
seconda edizione, Milano 2000. 10. L.Vacca(a cura di), Gli effetti del contratto nei confronti dei terzi nella prosperttiva storico-comparatistica, atti del IV Congresso internazionale ARISTEC, Torino, 2001. 11. G. Pacchioni, Contratti a favore dei
terzi, terza edizione, Padova, 1933. 12. Vazny, Appunti alla dottrina classica
dei contratti a favore di terzi, in Studi
in onore di S. Riccobono, vol.IV, Palermo
1936. 13. F. Schulz, Storia della giurisprudenza
romana, tr.it. di G.Nocera, Firenze, 1968. 14. G. Grosso, Lezioni di storia del diritto
romano, Torino, 1965. 15. AA.VV., Lineamenti di storia del diritto
romano, seconda edizione, sotto la direzione
di Mario Talamanca, Milano, 1989. 16. V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto
romano, nona edizione, Napoli, 1947. 17. F.Gazzoni, Manuale di diritto privato,
nona edizione, Napoil, 2001. 18. G. Schiavo e A. Marrese, I contratti
in generali, nono volume, in Il diritto privato
nella giurisprudenza, a cura di Paolo Cendon,
Torino, 2000. [1] G. Grosso, Lezioni di storia del diritto
romano, Torino, 1965, 402ss. [2] F.Schulz, Storia della giurisprudenza romana,
traduzione italiana di G.Nocera, Firenze,
1968, 376ss. [3] F.Schulz, op.cit., 193. [4] AA.VV., Lineamenti di storia del diritto
romano, seconda edizione, sotto la direzione
di Mario Talamanca, Milano, 1989, 449ss. [5] G. Grosso, op.cit., 400. [6] Come una locuzione, si trova l’espressione
nel D.45,1,38,17:Alteri stipulari nemo potest, praeterquam si seruus donimo, filius patri
stipuletur…” [7] Alcuni ritengono il principio romano sia
l’espressione di un principio etico nazionale
romano, cioè che ogni individuo è il vero
e solo rappresentante naturale dei suoi propri
interessi; secondo gli altri, il principio
è una conseguenza del concetto speciale
della obbligazione romana; altri, abbandonando
il campo delle astrazioni, attribuiscono
il divieto dei contratti a favore di terzi
a ragioni di intenzione pratica alla necessità
di curare la sicurezza dei commerci, o a
ragioni anche più speciali, cioè alla necessità
di garantire creditori dello stipulante.
Cfr., G. Pacchioni, Contratti a favore dei
terzi, terza edizione, Padova, 1933, 14ss. [8] E. Betti, Diritto romano(I), parte generale,
Padova, 1935, 383; A. Burdese, Manuale di
diritto privato romano, terza edizione, Torino,1985;
A.Guarino, Diritto privato romano, decima
edizione, Napoli, 1994, 844ss. [9] L’azione nascente da stipulazione era infatti
un’actio ex stipulatu o la condictio avevano come presupposto la mancanza del
trasferimento del certum all’attore, e non ad un terzo. Cio spiega
che veniva invece a sussistere quando il
promittente avesse stipulato una pena per
il caso della mancata prestazione al terzo.
Cfr., P.M.Vecchi, La stipulazione a favore
di terzi da figura eccezionale a strumento
generale, in atti del IV Congresso Internazionale
ARISTEC, Gli effetti del contratto nei confronti
dei terzi nella prospettiva storico-comparatistica,
a cura di L.Vacca, Torino, 2001, 278ss. [10] R. Zimmermann, The law of obligation, Boston, 1992, 37ss; P. M. Vecchi, op. cit., 278ss. [11] La traduzione di Vignali: Nessuno può stipulare
per un altro, salvo se il servo stipuli per
il padrone o il figlio per il padre; perchè
tali obbligazioni furono inventate nello
scopo che ciascuno acquisti per sè ciò
che gli interessa; del resto non evvi mio
interesse che ad un altro si dia. Benvero,
se voglio ciò fare, converrà stipulare
una penale in modo che, se così non si farà,
come si interesse, si incorrerà nella penale
ancora per colui al quale nulla impotra;
perchè quando uno stipula una penale, non
si guarda all interesse, che vi si abbia,
ma qualsiasi la quantità, e quale la condizione
della stipulazione. [12] La traduzione di Vignani: “Tutte le cose,
che facciamo quando traggono origine da un
nostro contratto, se non prendono il principio
di obbligo dalla nostra persona, rendono
inefficace l’operato da noi; e perciò non
possiamo stipulare, comprare, vendere, contrarre,
onde uno bene agisca in suo nome”. [13] Secondo qualche studioso, molto probabilmente,
questo passo è interpolato dai compilatori
giustinianei. Per quanto riguarda il problema
della interpolazione, tratterò nei testi
seguenti. [14] Se questi convenissero di divideresi la
gestione, la divisione avrebbe valore soltanto
di fatto, mentre il regime giuridico sarebbe
quello della indivisione. Cfr., il passo
del D.27,8,5. [15] P. Voci, La responsabilità dei contutori
e degli amministratori cittadini, Iura, 21(1970),
72ss; P.Voci, I garanti del tutore nel pensiero
di Pabiniano, Iura, 20(1969), 319. [16] P. Voci, op.cit.,1970, 72. [17] V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto
romano, nona edizione, Napoli, 1947, 497ss. [18] Gai. 3, 103. [19] Questo carattere anche si vede dal passo
D.45,1,110, pr. Dove il Pombonio riferisce
“si mihi, et Titio, in cuius potestate non
sim, stipuler decem: non tota decem, sed
sola quinque mihi debentur; pars enim aliena
deducitur, ut quod extraneo inutiliter stipulatus
sum, non augeat meam partem” (se per me, e per Tizio, nella cui potestà
il non sia, stipuli dieci, non si debbono
a me tutti i dieci, ma solamente cinque;
poichè si deduce la parte altrui, affinchè
quello che inutilmente ho stipulato per un
estraneo, non accresca la perte mia). [20] J. Vàzny, Appunti alla dottrina classica
dei contratti a favore di teri, in scritti
in onore di Riccobono, vol.2, 264. [21] Di questo problema, si può vedere il passo
di D. 46,3,67. un passo di Marcello. “… nam et apud Alfenum Servius eum, qui minus
a debitore suo accipere, et liberare eum
vellet, resondit, posse saepius aliquos nummos
accipiendo ab eo, eique retro dando” (perchè, anche presso Alfeno Servio rispose,
che colui il quale volesse ricevere meno
da un suo debitore, e liberarlo, poteva ciò
fare, ricevendo più volte talune monete
da lui,e poscia, restituendole, …) [22] G.Pacchini, op.cit., 16. [23] J. Vàzny, op.cit., 263. Secondo il Pacchioni pure il periodo “plane
si velim hoc facere, poenam stipulari conveniet,
ut, si ita factum non sit, ut comprehensum
est, committetur stipulatio” sia interpolato.
Ma ci sono gli indizi formali che confermano
la generale adozione della pena convenzionale
per effetuare indirettamente la “stipulatio
alteri”. Cfr., Pacchioni, op.cit., 20. Contro,
Vàzny, op.cit., 263. [24] J. Vàzny, op.cit., 265. [25] Se l’ipotesi degli interpolatisti sia fondamentale,
questa condizione fu un’aggiunta dei compilatori.
Ma se si voglia dedurre qualche elemento
essenziale dal caso, non si può negare che
l’interesse dello stipulante nella stipulazione
per il pupillo sia elemento fondamentale.
è molto probabile che la considerazione
di Marcello sia nel connesione inseparabile
dell’interesse dello stipulante e quello
del pupillo. [26] “quotiens donatio ita conficitr, ut post tempus
id quod donatum est alli restituatur… benigna
iuris interpretatione divi principes ei in
quem liberalitatis compendium conferebatur
utilem actionem iuxta donatoris voluntatem
competere admiserunt”. [27] “si res tuas commodavit aut deposuit is, cuius precibus meministi, adversus tenentem ad exhibendum vel vindicationes uti potes. Quod si pactus sit, ut tibi restituantur, si quidem ei qui deposuit successisti, iure hereditario depositi actione uti non prohiberis : si vero nec civil nec honorario iure ad te hereditas eius pertinet, intellegis nullam te ex eius pacto contra quem supplicas actionem stricto iure habere: utilis autem tibi propter aequitatis rationem dabitur depositi actio”. [28] R. Zimmermann, op.cit., 40. [29] “…plane si quis velit hoc facere, poenam
stipulari convenient, ut nisi, ita factum
sit, ut comprehensum esset, committetur poenae
stipulatio etiam ei cuius nihil interest…” nel confronto del passo D.45,1,38,17.,
possiamo vedere che le differenze soltanto
stanno nel fatto che i compilatori ha cambiato
la persona del trattamento. [30] Gai. 3,103. “… nostri praeceptores putant in universum
valere et proinde ei soli qui stipulatus
sit solidum deberi, atque si extranei nomen
non adiecisset. Sed diversae scholae auctores
dimidium ei deberi existimant, pro altera
vero parte inutilem esse stipulationem.” [31] I. 3,19,4. [32] I. 3,19,4. [33] L. Chiazzese, Confronti testuali. Contributo
alla dottrina delle interpolazioni giustinianee,
in Annali Sem. Giu. Univ. Palermo 16 (1931),
422ss. [34] R. Zimmermann, op.cit., 43. [35] §75 I 5, ALR; Theil 4, Cap. 1, § 13 Codex Maximilianeus; § 854 Sachsisches Gesetzbuch. Cfr., R. Zimmermann, op. cit., 44. [36] La trduzione iatliana di questo articolo:
“Si può stipulare per l’interesse di un
terzo qualora la stipulazione sia la condizione
di stipulare per sé stesso oppure la condizione
di dare donazione. Se il terzo dichirasse
di voule profittarla, lo stipulante non può
rivocarla.” [37] La traduzione italiana di questo articolo:
“Le parti possono stipulare nel contratto
che la prestazione deve essere eseguita al
terzo, e la stipulazione può avere l’efficace
secondo cui i terzo può chiedere la prestazione
direttamente al promittente”. [38] P.M.Vecchi, op.cit., 280. [39] Gazzone, Manuale del diritto privato, Milano,
2000, 929. [40] Bianca, Diritto civile, terzo volume sul
contratto, Milano, 2000, 568. |
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